venerdì 30 settembre 2011

PROVINCIA DI VICENZA IN DEBITO CON I PROPRIETARI DEI FONDI IN USO ALLA CACCIA

L.A.C. E C.P.V. METTONO A DISPOSIZIONE I PROPRI LEGALI PER UNA CLASS ACTION A FAVORE DEGLI AGRICOLTORI E DEI PROPRIETARI TERRIERI.





COMUNICATO STAMPA


I proprietari di terreni Vicentini ove si svolge la caccia vantano un credito nei confronti della provincia di € 17.500.000 solo per il 2011. La Regione Veneto, infatti, non ha mai dato attuazione all’art. 15 della legge nazionale n.157 del 1992 sulla disciplina della caccia secondo cui è “dovuto ai proprietari o conduttori un contributo da determinarsi a cura della amministrazione regionale in relazione alla estensione, alle condizioni agronomiche, alle misure dirette alla tutela e alla valorizzazione dell’ambiente” ; una spesa a cui si deve far fronte con la tassa di concessione venatoria regionale

La successiva legge regionale 50 del 1993, specifica all’articolo 27 : “Le Province sono delegate ad erogare, sulla base dei criteri di cui alla lettera e), comma 6, dell'articolo 8, un contributo ai proprietari o conduttori dei fondi rustici inclusi nel piano faunistico venatorio regionale ai fini della gestione programmata della caccia”.
Se si considera un indennità medio-bassa di euro 70 all’anno per ettaro pari a 0,007 al mq, tariffa inferiore a quelle utilizzate per le aziende venatorie, moltiplicata per gli ettari ove sui svolge la caccia ( 250.000 ), si scopre che la provincia di Vicenza  avrebbe dovuto pagare ai proprietari dei terreni – per l’anno 2011 – ben  17.5 milioni di euro.
Se si considera ancora, che nulla è stato pagato, gli arretrati di 10 anni ammontano a oltre 175 milioni, più interessi, solo per il Vicentino.

La LAC e CPV hanno incaricato i propri legali di patrocinare in un fronte comune tutti i proprietari e conduttori dei fondi rurali dove si svolge la caccia, che dovessero reclamare il canone 2011 non corrisposto, gli anni arretrati e i relativi interessi, per una class-action civile nell’interesse di proprietari e conduttori di terreni contro tutte le Regioni per ottenere il pagamento del “canone venatorio” per il 2011 e per 10 anni arretrati.

Per fare richiesta di Rimborso, il Coordinamento protezionista ha messo a disposizione un indirizzo, mailto: venetorimborsoterreni@yahoo.it  info 347 9344789.

Nall’argomento, è intervenuto il portavoce del CPV Renzo Rizzi dichiarando : In pratica, la provincia di Vicenza alla quale la regione Veneto rimborsa l’ottanta per cento della tassa regionale che versano i cacciatori, per legge dovrebbe corrispondere una quota annua ai proprietari dei terreni utilizzati dai cacciatori, istituire l’ormai famoso quanto fantomatico ( per Vicenza ) centro di recupero fauna selvatica, effettuare ripristini ambientali, incentivare colture a perdere  per aiutare la fauna selvatica nel periodo invernale. In realtà buona parte di questi fondi vengono utilizzati per attività deviate a servizio della caccia, non ultimo, la vergogna del “lancio” di centinaia di migliaia di animali pronta caccia, che rendono questo hobby feroce, ancora più povero e incomprensibile.

LAC e CPV, chiedono la immediata sospensione di ogni attività venatoria fintanto che non saranno
corrisposte a proprietari e conduttori dei fondi agro-silvo-pastorali le somme dovute per legge.

martedì 27 settembre 2011

CENTRALI A BIOGAS A BORSO E A SCHIAVON: ECCO TUTTO QUELLO CHE BISOGNA SAPERE

A Borso del Grappa e a Schiavon ci sono progetti per la costruzione di centrali a biogas. Ma cosa sono in realtà. Ecco un interessante articolo di Carlo Petrini a riguardo.





Agricoltura industriale. Riflettiamo sull' ossimoro. In suo nome, l' uomo ha pensato di poter produrre il cibo senza contadini, finendo con l' estrometterli dalle campagne. Oggi siamo addirittura arrivati all' idea che possano esserci campi coltivati senza produrre alimenti: agricoltura senza cibo. Agricoltura che, se si basa soltanto sul profitto e sulle speculazioni, riesce a rendere cattivo tutto ciò che può essere buono: il cibo, i terreni fertili (che sono sempre meno), ma anche l' energia pulita e rinnovabile. Come il fotovoltaico, come il biogas.
Si è già parlato di come l' energia fotovoltaica possa diventare una macchina mangia-terreni e mangia-cibo. Se i pannelli fotovoltaici sono posati direttamente a terra e per grandi estensioni essi tolgono spazi alla produzione alimentaree desertificano i suoli fino a renderli inservibili. Allora bisogna dirlo chiaro: sì al fotovoltaico, ma sui tetti, nelle cave dismesse, lungo le strade. No a quello sul terreno libero.
Adesso poi è il momento delle centrali a biogas che sfruttano le biomasse, valea dire liquami zootecnici, sfalci e altri vegetali. Questi materiali si mettono in un digestore, qui si genera gas che serve a produrre energia elettrica e ciò che avanza – il "digestato" adeguatamente trattato poi può essere utilizzato come ammendante per i terreni.
Questi impianti sarebbero ideali per smaltire liquami (problema annoso di chi fa allevamento) e altri rifiuti biologici, integrando il reddito con una produzione di energia che può essere utilizzata in azienda o venduta. Se sono piccoli o ben calibrati rispetto al sistema chiuso dell' azienda agricola funzionano e sono una benedizione – esattamente come può fare il fotovoltaico sul tetto di un capannone o di una stalla. Ma se c' è di mezzo il business, se si fanno sotto gli investitori che fiutano affari e a cui non importa che l' agricoltura produca cibo e che lo faccia bene, allora il biogas può diventare una maledizione.
Sta già succedendo in molte zone della Pianura Padana, soprattutto laddove ci sono forti concentrazioni di allevamenti intensivi. È una cosa che stanno denunciando alcune associazioni ambientaliste a livello localee per esempio da Slow Food Cremona mi segnalano che nella loro provincia ormai la situazione è sfuggita al controllo. Tant' è vero che hanno chiesto alla Provincia una moratoria sull' installazione e autorizzazione di nuove centrali a biogas.
Che succede? Molti agricoltori, stremati dalla crisi generalizzata del settore, si trasformano in produttori di energia, smettendo di fare cibo. In pratica, si limitano a coltivare mais in maniera intensiva per farlo "digerire" dagli impianti a biogas. C' è anche chi lo fa solo in parte, ma sta di fatto che tutto quel mais non sarà mangiato dagli animali e quindi indirettamente neanche dagli umani. Gli investitori li aiutano, a volte li sfruttano. Esistono soccide in cui gli agricoltori sono pagati da chi ha costruito l' impianto per coltivare mais: sono diventati degli operai del settore energia, altro che contadini.
Tutto è cominciato nel 2008 con la finanziaria che prevedeva un nuovo certificato verde "agricolo" per la produzione di energia elettrica con impianti di biogas alimentati da biomasse. Impianti "piccoli", di potenza elettrica non superiore a 1 Megawatt. Ma 1 Mw è tanto: ciò ha incentivato il business, perché a chi produce viene riconosciuta una tariffa di 28 cent/kWh, circa tre volte quanto si paga per l' energia prodotta "normalmente".
Ecco allora che il sistema degli incentivi, cui si uniscono quelli europei per la produzione di mais, ha fatto sì che convenga costruire impianti grandie costosi (anche4 milioni di Euro), che possono essere ammortizzati in pochi anni. Soltanto nel cremonese nel 2007 c' erano 5 impianti autorizzati, oggi sono 130.E lì oggi si stima che il 25% delle terre coltivate sia a mais per biogas. In tutta la Lombardia si prevede che entro il 2013 dovrebbero esserci 500 impianti.
Ci sarebbe da riflettere su quante volte un cittadino che versa anche le tasse arrivi a pagare quest' energia "pulita", ma l' emergenza è di altro tipo: così si minacciano l' ambiente e l' agricoltura stessa. Primo e lapalissiano: si smette di produrre cibo per produrre energia. Secondo: la monocoltura intensiva del mais è deleteria per i terreni perché deve fare largo uso di concimi chimici e consuma tantissima acqua, prelevata da falde acquifere sempre più povere e inquinate. Senza rotazioni sui terreni si compromette la loro fertilità e si favorisce la diffusione di parassiti come la diabrotica, da eliminare con un' ulteriore aggiunta di antiparassitari. Se il mais non è per uso alimentare, poi, sarà più facile mettere due dosi di tutto invece di una, senza farsi tanti scrupoli.
Terzo: chi produce energia coltivando mais può permettersi di pagare affitti dei terreni molto più alti, anche fino a 1500 euro per ettaro, il che crea una concorrenza sleale nei confronti di chi invece ne ha bisogno per l' allevamento. È lo stesso fenomeno che si è creato con i parchi fotovoltaici, dunque sta piovendo sul bagnato. A chi alleva servono terreni soprattutto per rientrare nella "direttiva nitrati", che dovrebbe regolare lo smaltimento dei liquami in maniera sostenibile. Chiedete ai contadini e agli allevatori: i terreni non sono mai stati così costosi come oggi, e per un' azienda che già subisce i danni di un mercato drogato da speculazioni e imposizioni di prezzi bassi da parte del sistema distributivo può voler dire soltanto una cosa, la chiusura. Ma andiamo avanti.
Quarto: gli impianti stessi, quelli da1 Mw, sono grandi strutture e per costruirle si consuma terreno agricolo sacrificandolo per sempre. Quinto: ci sono già le prime voci sulla nascita di un mercato nero di rifiuti biologici, come gli scarti dei macelli, venduti illegalmente per fare biogas. Non andrebbero mai utilizzati come biomasse, perché ciò che avanza dalla "digestione" poi viene sparso per i campi come ammendantee in questi casi oltre a inquinare potrebbe anche diffondere malattie. Il problema è la scala.
Diciamo chiaramente che in sé il biogas da biomasse non avrebbe nessun difetto. Ma se è realizzato a fini speculativi ed è sovradimensionato, se fa produrre mais al solo scopo di metterlo nell' impianto, se fa alzare i prezzi del terreno, lo consuma e lo inquina, allora bisogna dire no, forte e chiaro. Da questo punto di vista sarà bene che le amministrazioni (comunali per impianti piccoli, provinciali per quelli più grandi) comincino a valutare i fini reali degli impianti prima di concedere autorizzazioni, e sicuramente questi problemi andranno affrontati e debellati con la nuova PAC, la politica agricola comune, che si è iniziata a discutere a Bruxelles.
Da un punto di vista umano capisco gli agricoltori che hanno intravisto con il biogas un modo per risalire la china di un' agricoltura industriale sempre più in crisi. Ma sono sicuro che ci sono altri modi di fare agricoltura, più puliti, diversificati, che puntano alla vera qualità. Questa agricoltura può essere molto remunerativa e dare futuro ai giovani, mentre è soprattutto quella di stampo industriale che sta collassando. Inoltre, prima o poi gli incentivi finiranno.
Il biogas con grandi impianti è una pezza sporca che alcuni stanno mettendo alla nostra agricoltura malata, ottenendo l' effetto di darle così il colpo di grazia. Sarà molto difficile tornare indietro: i terreni fertili non si recuperano, le falde s' inquinano, la salubrità sparisce, chi fa buona agricoltura è costretto a smettere a causa di una concorrenza spietata e insostenibile. Agricoltura industriale, che ossimoro.
Carlo Petrini

Fonte: La Repubblica

martedì 20 settembre 2011

IL PROCESSO TRICOM E LA VERGOGNOSA SENTENZA


COMUNICATO del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio di Tezze sul Brenta e Bassano del Grappa






Sono state rese pubbliche le motivazioni della sentenza (giudice Deborah De Stefano) che ha assolto, il 24 maggio scorso, “al di là di ogni ragionevole dubbio”, titolari e dirigenti della Tricom Galvanica PM di Tezze sul Brenta per la morte di 7 lavoratori per malattia professionale.
Un lavoro articolato, volutamente puntiglioso, costruito  con la volontà di ricercare sentenze, tesi scientifiche tutte a vantaggio dei padroni. La sensazione, a momenti, è che siano i lavoratori morti o ammalati, gli imputati di questo processo.

   La Tricom, descritta in poche pagine iniziali, come un ambiente di lavoro infernale, in cui si lavorava tra fumi, fanghi ed esalazioni di cromo, nickel ed altri acidi, passa successivamente e rapidamente in secondo piano, sostituita dalle abitudini di vita dei lavoratori.
Il testo si sposta quindi sull’uso del tabacco. Si vagliano accuratamente le dichiarazioni di lavoratori e famigliari sul numero di sigarette fumate da chi è deceduto o si è ammalato.
Si continua indagando sulle famiglie, su casi di mortalità per neoplasie nell’ambito familiare. I colpevoli della propria morte diventano i lavoratori stessi.
   Niente emerge sull’attività, la vita e la condotta degli imputati.

Ecco che il  cromo esavalente, riconosciuto sì cancerogeno, diventa in alcuni casi quasi salutare; non ci sono soglie che definiscano quando l’esposizione a queste sostanze diventa pericolosa. Le conclusioni sono che questi lavoratori morti o ammalati sono colpevoli di aver fumato, di aver avuto dei famigliari deceduti per neoplasie e per ultimo di essere stati esposti alle sostanze nocive; ma non abbastanza da giustificare un verdetto di giustizia nei loro confronti. E’ negata ogni ipotesi di concausa tra il fumo di sigaretta e le esalazioni delle sostanze tossiche del processo produttivo.

   Netta è l’impressione che, in queste 70 pagine, il giudice ricerchi  quelle sentenze favorevoli ai padroni (magari estrapolandone “ad hoc” alcuni passaggi), azzerando la validità di alcune indagini (per esempio quelle epidemiologiche o quelle sulle condizioni di lavoro all’interno dell’azienda).
   Infine, il processo civile, vinto dai famigliari di Bonan, non ha alcun peso nella sentenza. E’ palese la contraddizione di un tribunale che, nella sua sezione civile, condanna gli imputati, mentre, in quella penale, li assolve “perché il fatto non sussiste”. Ciò significa che il fatto non c’è. Non ci sono le malattie, non ci sono le morti.

   Le nostre valutazioni, espresse a caldo dopo la sentenza, ricevono ulteriore conferma: non è un problema di leggi e norme (in Italia le leggi sulla sicurezza nel lavoro esistono da 60 anni); in realtà il problema è che i padroni sono al di sopra e al di fuori di qualunque legge.
Per noi, al di là di ogni ragionevole dubbio”, questi lavoratori sono morti a causa delle condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti. Questa sentenza è responsabile di far precipitare il livello di attenzione sulle condizioni del lavoro, che negli ultimi anni, in conseguenza di gravi tragedie, aveva conosciuto alti livelli di sensibilizzazione.
Tutto questo mentre i morti sul lavoro e di lavoro continuano a crescere nel nostro paese!

  Con queste convinzioni la nostra lotta va avanti. Abbiamo presentato alla Procura Generale di Venezia un’istanza affinché venga impugnata  questa sentenza.

Abbiamo convocato per il giorno 30 settembre 2011, a Tezze sul Brenta, sala del Municipio, ore 21, un’assemblea pubblica con i nostri periti ed avvocati, in cui daremo la giusta lettura di questa sentenza e di questa vicenda.
Bassano del Grappa, 14 settembre 2011

Comitato per la Difesa delle Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio di Tezze sul Brenta e Bassano del Grappa

Salute.Tezze@libero.it

lunedì 19 settembre 2011

AUTOSTRADA VALSUGANA: NO GRAZIE

COMUNICATO STAMPA

                                                      

“Regione Veneto e Provincia di Vicenza -- stanno dimenticandosi i progetti di risoluzione dei problemi relativi alla Strada Statale 47. La Valsugana ha bisogno di liberarsi dalle auto per dare un po’ di vivibilità alle popolazioni rivierasche. In vallata sono presenti da anni dei Comitati che hanno fatto proposte importanti al problema del traffico ma, invece, come sempre, chi deve decidere per i cittadini fa il contrario e propone un’ennesima autostrada, che non risolverà i problemi locali ma li aggraverà (come nel caso della Pedemontana Veneta), con un peggioramento dell’ambiente e della qualità di vita  per tutte le persone che verranno interessate dal progetto che coinvolge anche altri paesi del bassanese oltre che la Valbrenta.

Un’altra autostrada (oltre alle varie bretelle), che si aggiunge alle altre: cinque autostrade nella provincia di Vicenza, una pura follia.  

Ma quante autostrade vogliono?

Quello che stanno facendo è deturpare e consumare ulteriormente il territorio vicentino, senza alcun ritorno per l’economia e ai cittadini.
Mentre il decantato modello del Nord Est raschia il fondo del barile (vedi recenti fallimenti a catena di aziende), pretendono di far diventare la provincia un’unica pista di asfalto per continuare un modello di sviluppo fallimentare e sorpassato, basato ancora sul trasporto su gomma (auto+camion+asfalto+idrocarburi) che tutti i paesi moderni respingono (siamo gli unici in Europa ad avere l’85% di trasporto su gomma).
Mentre il Nord Europa, l’unico che riesce ad affrontare la crisi, si getta sulla green economy, noi ci gettiamo sul cemento e sull’asfalto, nell’interesse esclusivo delle lobby dei grandi costruttori ammanicati col governo e i partiti.

Più cemento e asfalto significa più corruzione, inquinamento, affari mafiosi.

Basta, fermiamo questa follia, che si aggiunge alla follia dei governanti dell’economia mondiale che mostra la corda col sempre più evidente crollo del liberismo, delle privatizzazioni e della finanza. La ricetta ‘ancora di più dello stesso’ è l’unica cosa che sanno proporre nonostante i fallimenti che stiamo pagando e ancor più pagheranno le giovani generazioni in futuro.

Vogliamo infrastrutture al servizio delle persone, un’economia al servizio della comunità, energie alternative, produzioni industriali sicure e salubri, recupero dell’agricoltura e del turismo, autostrade informatiche, ricerca, stile di vita sobrio, difesa dei beni comuni, trasporti pubblici.


Comitati Difesa Salute Territorio 
Bassano del Grappa-Valle Agno-Alto Vicentino
No Valsugana e Pedemontana

venerdì 16 settembre 2011

IL VENETO UNA DELLE REGIONI CON PIU CEMENTIFICAZIONE'

Un’indagine di Legambiente e dell’INU. Se non si interviene subito, fra un po’ non ci sarà più nulla da tutelare, né da vivere.



Nel rapporto Ambiente Italia 2011, l’associazione del cigno lancia l’allarme. Periferie sempre più estese, arterie stradali, maxi-parcheggi e capannoni. E’ come se ogni quattro mesi nascesse una nuova Milano.
Il cemento si sta mangiando l’Italia, al ritmo di 10.000 ettari di territorio all’anno: ogni 4 mesi è come se nascesse una nuova Milano. Periferie sempre più estese, arterie stradali, maxi-parcheggi e capannoni.
Grappoli disordinati di sobborghi residenziali e centri commerciali sorti in mezzo alle campagne. È l’ambiente nel quale vivono 6 italiani su 10.
Lombardia, Veneto e Campania guidano la classifica: cresce l’asfalto, la terra soffre, va in crisi il sistema idrogeologico. Mancano regole a tutela del suolo, aumentano i danni ambientali e i costi sociali. È il nuovo allarme lanciato dal rapporto Ambiente Italia 2011, promosso da Legambiente: insieme agli spazi verdi, spariscono ettari preziosi per l’agricoltura, che vanta un export da 26 miliardi di euro. A farla da padrone sono i palazzi: negli ultimi 15 anni si sono costruiti 4 milioni di nuove case. Ma oltre un milione di alloggi resta vuoto. E almeno 200.000 famiglie non riescono a pagare l’affitto o la rata del mutuo.
Urbanizzazione selvaggia, sempre più insostenibile. Lo rivela il rapporto realizzato in collaborazione con l’INU, l’Istituto Nazionale di Urbanistica, presentato in questi giorni a Milano. Un quadro inquietante del consumo di territorio, che oltre all’ambiente mette in pericolo anche la produzione agroalimentare. Il cemento invade già 2 milioni e 350.000 ettari.
Un’estensione equivalente a quella di Puglia e Molise messe insieme: il 7,6% del territorio nazionale, con 415 metri quadri per abitante. Risultato: crescono le superfici impermeabili. Già nel 2007, in città come Napoli e Milano era isolato dall’acqua il 62% del suolo. Il primato è della Lombardia, con il 14% di superfici artificiali. Seguono Veneto (11%), Campania (10,7%), Lazio ed Emilia (9%). A rischio la Sardegna, dove la cementificazione minaccia patrimoni naturali di inestimabile valore.
“Il territorio italiano si sta rapidamente metropolizzando”, afferma il presidente INU, Federico Oliva. “Alla città tradizionale si sta sostituendo una nuova città, in cui vive oltre il 60% dell’intera popolazione italiana”. Si vive in condizioni insostenibili: cementificazione, traffico congestionato, nuovi squilibri e fame di spazio pubblico. Principale imputato: la crescita incontrollata delle periferie metropolitane, che divorano ogni anno 500 chilometri quadrati di aree verdi. Un esempio? Roma, il più grande comune agricolo in Europa. Nella città eterna, i complessi residenziali in periferia hanno “mangiato” 4.384 ettari agricoli, il 13% del totale, e 416 ettari di bosco. E il peggio deve ancora arrivare: i piani regolatori di Roma e Fiumicino prevedono di consumare altri 9.700 ettari, più di quanto sia stato urbanizzato dal 1993 al 2008.
Per Paolo Pileri del Politecnico di Milano, uno dei curatori del documento, “ad essere erose sono le risorse agricole e di biodiversità, che costituiscono uno dei beni comuni più importanti”. L’Italia è in controtendenza rispetto ai paesi europei dove “sono in atto da tempo politiche ambientali ed urbanistiche incisive contro il consumo di suolo e i suoi costi sociali”. Lo sfruttamento del suolo italiano non produce “solo ferite al paesaggio”, ma “una vera e propria patologia del territorio”. Per questo Legambiente e INU hanno deciso di creare un Centro di Ricerca sui Consumi di Suolo (CRCS). Nella legislazione italiana “mancano ancora regole efficaci sulle facoltà di trasformazione dei suoli”, afferma il presidente di Legambiente Lombardia, Damiano Di Simine: “Qualunque sia la politica che una Regione attua per il governo del territorio, riteniamo irrinunciabile che essa sia confortata da un’attività di verifica e monitoraggio, oggi estremamente lacunosa”.
Molti comuni piemontesi, stanchi di vedere il proprio territorio invaso da capannoni sfitti, hanno dato vita alla Campagna nazionale Stop al consumo di territorio. “Il consumo di suolo – dichiara il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – è oggi un indicatore dei problemi del Paese. La crescita di questi anni, senza criteri o regole, è tra le ragioni dei periodici problemi di dissesto idrogeologico e tra le cause di congestione e inquinamento delle città, dell’eccessiva emissione di CO2 e della perdita di valore di tanti paesaggi italiani e ha inciso sulla qualità dei territori producendo dispersione e disgregazione sociale. Occorre fare come negli altri Paesi europei, dove lo si contrasta attraverso precise normative di tutela e con limiti alla crescita urbana, ma anche con la realizzazione di edilizia pubblica per chi ne ha veramente bisogno”. Tra le abitazioni sfitte, 245.142 sono a Roma, 165.398 a Cosenza, 149.894 a Palermo, 144.894 a Torino e 109.573 a Catania. Ma il fenomeno sfugge, perché non ci sono banche dati aggiornate. E la piaga dell’abusivismo si aggiunge alle carenze di pianificazione.

Tratto da Il Fatto quotidiano online

domenica 11 settembre 2011

RIAPERTA LA CACCIA

Si è aperta purtroppo anche quest'anno la stagione venatoria. Ecco alcuni estratti dal regolamento sulle principale regole della caccia.  



 

Distanze dalle case - La caccia è vietata per una distanza di 100 metri da case, fabbriche, edifici adibiti a posto di lavoro. E’ vietato sparare in direzione degli stessi da distanza inferiore di 150 metri (L.157/92).

Distanze da strade e ferrovie - La caccia è vietata per una distanza di 50 metri dalle strade (comprese quelle comunali non asfaltate) e dalle ferrovie. E’ vietato sparare in direzione di esse da distanza inferiore a 150 metri (L.157/92).

Distanze da mezzi agricoli - La caccia è vietata a una distanza inferiore di 100 metri da macchine agricole in funzione (L.157/92).

Distanze da animali domestici - La caccia nei fondi con presenza di bestiame è consentita solo ad una distanza superiore a metri 100 dalla mandria, dal gregge o dal branco (L.R.50/93).

Trasporto delle armi - E’ vietato trasportare le armi da caccia, che non siano scariche e in custodia, all'interno dei centri abitati e delle altre zone ove è vietata l'attività venatoria, a bordo di veicoli di qualunque genere e nei giorni non consentiti per l'esercizio venatorio (L.157/92).

Mezzi vietati di caccia - Reti, trappole, tagliole, vischio, esche e bocconi avvelenati, lacci, archetti, balestre, gabbietrappola (L.157/92).

Giorni vietati - Martedì e venerdì sono giorni di assoluto silenzio venatorio anche se festivi (L.157/92).

Orari di caccia - La caccia è consentita da un’ora prima del sorgere del sole fino al tramonto (L.157/92).

Stagione venatoria - Inizia la terza domenica di settembre e chiude il 31 gennaio (L.157/92).

Luoghi di divieto di caccia - Terreni di pianura innevati, stagni e laghi ghiacciati, terreni allagati, giardini privati, parchi pubblici, centri abitati, aree adibite a sport, parchi e riserve naturali, oasi, zone di ripopolamento, foreste demaniali (L.157/92).

Allenamento dei cani da caccia - E’ consentito dalla terza domenica di agosto fino alla seconda domenica di settembre, nei giorni di mercoledì, sabato e domenica, dalle ore 6 alle ore 11 e dalle ore 16 alle ore 20, su terreni incolti, boschivi di vecchio impianto, sulle stoppie, su prati naturali e di leguminose, non oltre dieci giorni dall'ultimo sfalcio. L’allenamento è poi consentito nei campi addestramento cani tabellati (L.R.50/93).

Colture agricole e caccia con i cani - L’accesso dei cani è vietato nei terreni coltivati a riso, soia, tabacco ed ortaggi. L’uso dei cani è consentito in numero massimo di due per cacciatore (L.R.50/93). L’esercizio venatorio è vietato in forma vagante sui frutteti, vigneti fino alla data del raccolto, coltivazioni di riso, soia e mais da seme (L.157/92).Bossoli delle cartucce - E’ vietato abbandonare a terra i bossoli delle cartucce (L.157/92).

Omessa custodia dei cani da caccia - L’articolo 672 del codice penale “Omessa custodia e mal governo di animali” punisce chi lascia liberi, o non custodisce con le debite cautele, animali pericolosi da lui posseduti.

“Poenta e osei” - Nei locali pubblici è vietato servire polenta e uccelli selvatici anche se sono appartenenti a specie cacciabili e abbattuti legalmente (L.157/92).

Violazione di domicilio - L’articolo 614 del codice penale “Violazione di domicilio” punisce chi si introduce nei giardini e nelle pertinenze delle abitazioni civili.

Uccisione e maltrattamento di cani, gatti, animali da cortile - L’articolo 638 del codice penale “Uccisione o danneggiamento di animali altrui” punisce chi uccide o rende inservibili, deteriora o avvelena gli animali che appartengono ai privati. L’art. 544 bis del codice penale punisce “L’Uccisione di animali” con incrudelimento. L’articolo 544 ter del codice penale punisce il “Maltrattamento di animali.”

Disturbo delle persone - L’articolo 659 del codice penale “Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone” punisce chi con rumori molesti disturba le occupazioni o il riposo delle persone.

Spari nei pressi delle abitazioni - L’art. 703 del codice penale “Accensioni ed esplosioni pericolose” punisce penalmente chi in un luogo abitato o nelle sue adiacenze o lungo una pubblica via o in direzione di essa spara con armi da fuoco.



PER INFORMAZIONI ED EVENTUALI CHIARIMENTI RIVOLGERSI A:

Andrea Zanoni - LAC Lega Abolizione Caccia - Sezione del Veneto - Via Cadore 15/C int. 1 31100 Treviso - Info: 3479385856 - www.lacveneto.it -.Email: lacveneto@ecorete.it

martedì 6 settembre 2011

LA SUPERSTRADA PEDEMONTANA CHE SCONVOLGERA' VENETO E LOMBARDIA

Sono molto numerose le ragioni che spingono a definire la Superstrada Pedemontana un “Ecomostro” minacciante gli equilibri dei territori lombardi e veneti su cui si svilupperà. I cantieri stanno per essere aperti e l’allerta è massima da parte dei comitati, delle associazioni e dei semplici cittadini che non vogliono subire l’ennesimo affronto al territorio e quindi a loro stessi. Sebbene quest’opera porti il nome di “superstrada”, si presenterà con le impattanti fisionomie di una normale autostrada a sei corsie, a cui si aggiungono quelle di emergenza, i caselli attraverso cui si accederà pagando un pedaggio e le complanari che la collegheranno alla viabilità normale.


L’unica cosa che la distinguerà sarà il limite di velocità, inferiore di 20 km/h ma si capisce quanto siano numerose le quote di territorio che la S.P. inghiottirà in un’unica colata di cemento.
La Superstrada Pedemontana farà parte del Corridoio V° Lisbona - Kiev, un’arteria che attraverserà da est ad ovest l’Europa e che sarà funzionale all’obsoleto paradigma del trasporto delle merci su gomma. Essa nasce perciò non dalle esigenze delle comunità (che vivranno le conseguenze della sua realizzazione), ma per piani transnazionali che calpestano l’economia prossimale e regionale, l’unica sostenibile, e che faranno dell’Italia una semplice tappa di passaggio.
Per quanto riguarda il Veneto, ciò sta avvenendo grazie ad un atto di forza che si fa beffe della concertazione democratica, dato che il 25 giugno 2009 l’ex presidente Galan chiese al presidente del Consiglio dei Ministri Berlusconi di concedere alla Superstrada Pedemontana Veneta lo stesso stato di emergenza decretato per il terremoto all'Aquila “sulla base dell'esperienza estremamente positiva (!!!) del Passante dì Mestre”.

Si dà il caso, però, che la Corte dei Conti abbia giudicato questa “esperienza” contraria al “principio di legalità e di certezza del diritto, non affrontando le criticità, ma viceversa, scavalcando completamente il sistema delle regole per la realizzazione delle opere pubbliche” (deliberazione della Corte dei Conti n. 4/2011/G).

Senza alcuna incertezza, la Presidenza del Consiglio ha decretato lo stato di emergenza (DPCM ,31 luglio 2009) e con successiva ordinanza (OPCM, 15 agosto 2009), su indicazione di Bertolaso, Commissario della Protezione Civile, Silvano Vernizzi è stato nominato Commissario delegato per l'emergenza.
Fu così che in materia di traffico fu adottata la procedura prevista per le “calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari” (LN 225/1992 istitutiva della Protezione civile) vedi nota 1.

Sembra così che la Superstrada Pedemontana sia l’ennesimo esempio della mentalità “del fare a tutti i costi” dell’odierna classe politica italiana, che negli ultimi anni si è resa complice degli scandali che hanno coinvolto la Protezione Civile (si pensi al caso della Maddalena per la preparazione dell’ultimo G8) e che nelle aule del Parlamento vara frettolosamente le norme a suon di decreti.

Mentre l’Ecomostro della Pedemontana si sta materializzando, il 28 marzo 2011 il “Libro Bianco su Mobilità e Trasporti” della Comunità Europea ha stabilito che almeno il 50% delle merci e dei passeggeri si dovrà spostare su rotaia.

Non si capisce allora perché la classe dirigente italiana continui testardamente a farsi promotrice di simili opere dato che anche la nuova revisione del Piano Europeo dei Trasporti spingerà ad introdurre forti aumenti tariffari per i veicoli superiori alle 3,5 tonnellate. A ciò si aggiungono gli autorevoli studi (vedi nota 2) che avvertono dell’avvicinarsi del “Picco del Petrolio” e cioè dell’esaurirsi delle fonti di energia che non renderà più conveniente il trasporto delle merci su lunga distanza, decretando così la necessità di creare circuiti economici a breve percorrenza.

L’insostenibilità di questa grande opera si registra non solo sotto il profilo ambientale, circostanza che dovrebbe già indurla ad abortirla, ma persino in termini economici per la serie de “oltre al danno la beffa”.
Per il tratto lombardo il costo complessivo è stato stimato attorno ai 3,6 miliardi (vedi nota 3) di euro, mentre per quello veneto l’ammontare è di circa 2 miliardi e 130 milioni di euro che probabilmente subiranno un fisiologico aumento di punti percentuali secondo quello che è il tradizionale modus operandi italiano (si pensi al Passante di Mestre che è stato ultimato con un rincaro del 30 %).
Un costo e un rischio finanziario spropositato se si pensa che il maggiore beneficio che se ne trarrà consisterà nel risparmio di solo 30 minuti (vedi nota 4) nel tratto di percorrenza. Si prospetta così uno scenario mortificante per l’integrità e la dignità del bene comune dato che ancora una volta saranno le lobby del cemento e del potere finanziario a trarre il maggiore vantaggio dalla realizzazione della S.P. . Realizzando quest’ultima in virtù del Project Financing, le cordate dell’asfalto apporteranno nelle loro casse ingenti guadagni e secondo le nervature di un capitalismo perverso, accolleranno i maggiori margini di rischio alla spesa pubblica. Il tutto viene poi immerso in un’atmosfera opaca dato che non viene permesso ai cittadini e ai comitati di conoscere i dettagli della Convenzione Economica, adducendo a motivo del diniego il fatto che si tratta di un “atto pattizio” tra il Commissario e la ditta appaltatrice. Sarebbe interessante e legittimo capire perché si mantiene un simile oscurantismo sulle voci che andranno ad interessare la spesa pubblica.

Anche stavolta la domanda è quella che da anni sta tuonando tra le fila dei comitati di mobilitazione civile che criticano la ratio di opere come il Tav o il Ponte sullo stretto di Messina… Perché patrocinare e assumere rischi in progetti mastodontici quando si potrebbe optare per soluzioni meno impattanti dal punto di vista ambientale e più contenute sul versante economico? Perché nel caso della mobilità pedemontana, non si provvede piuttosto ad allargare le tangenziali che già sono presenti mettendo contemporaneamente a punto un piano di trasporti intelligente che rafforzi il trasporto pubblico, risolvendo così le congestioni causate dal pendolarismo?
Si continua invece ad incentivare l’uso della macchina privata ...

Questa Superstrada è l’ennesima espressione del vecchio dogma economico dello sviluppo ascendente, che non ha lasciato spazio a dubbi sulla parabola che voleva disegnare e alle legittime interrogazioni sui costi sociali-ambientali e dunque esistenziali che esso comporta.
Affinché la Regione, e quindi i cittadini, non debbano rimborsare la ditta appaltatrice dei mancati pedaggi, si deve paradossalmente sperare in un accesso giornaliero di circa 45.000 veicoli. Per non destinare preziose finanze agli asfaltatori dobbiamo auspicare che l’inquinamento si mantenga nei suoi indici allarmanti e che anzi continui a crescere, mentre le risorse destinate alla spesa sociale sono sempre più esigue.
Il punto critico della questione è l’improbabilità che si raggiungano simili cifre di accesso perché l’alta saturazione della viabilità si presenta solo in certi segmenti, come nella tratta comasca o a ridosso dei capoluoghi di provincia. E’ poi doveroso riflettere che quest’ultima circostanza sembra imputabile al pendolarismo, risolvibile in tutt’altra maniera che con la realizzazione di un’Autostrada camuffata da Superstrada. In altri punti addirittura, si pensi al varesino o alla Valle dell’Adda per la parte lombarda, le stime del traffico scendono addirittura a 10.000 - 15.000 veicoli (vedi nota 5).

Allo stesso modo in Veneto i dati dicono che non si potrà raggiungere la soglia dei 45.000 accessi collegando la Pedemontana alle autostrade per il Tarvisio, che sono interessate da flussi di traffico modestissimi, e tantomeno facendo concorrenza al bacino di utenza della A4, A31 e A28, autostrade che presenteranno un limite di velocità più elevato (130 km/h contro i 110 km/h della Superstrada Pedemontana). In tal modo vacilla la speranza che a lenire il disastro finanziario vi sia almeno l’odioso inquinamento!!
Davvero doloroso sarà il prezzo ambientale che si dovrà pagare, si pensi alla ferita che si aprirà nel Parco della Valle del Lambro, uno dei pochi terreni brianzoli che offrono rifugio dalla monotonia del paesaggio industriale lombardo, che verrà tagliato dal biscione d’asfalto della Pedemontana.

Si pensi al dramma di Seveso (MB) che verrà attraversato dalla P.V. in prossimità della zona che ancora oggi è fortemente inquinata dalla diossina (vedi nota 6) sprigionatasi 34 anni fa a seguito di un incidente avvenuto nella sede dell’ex Icmesa. La domanda che sorge spontanea è: quali sostanze verranno liberate durante i movimenti del terreno necessari alla realizzazione della Superstrada?
In Veneto si presenta ancora una volta un caso di “conflitto d’interessi” tipicamente italiano dato che il Commissario Straordinario per l’emergenza traffico, dott. Vernizzi, incaricato di realizzare quanto prima la Pedemontana, è contemporaneamente presidente della Commissione a cui compete di emettere la V. I. A. .
Come era prevedibile, il Comitato Difesa e Salute del Territorio (vedi nota 7), espressione dello scontento e della preoccupazione dei cittadini della Valle dell’Agno a nord di Vicenza, ha messo in luce la grossolanità e l’eccessiva leggerezza delle analisi effettuate sul progetto preliminare della S.P. ! La situazione si fa ancora più allarmante dato che tra pochi mesi verrà depositato il progetto esecutivo, il quale renderà inefficaci le ulteriori valutazioni ambientali a causa della difficoltà di ripensare l’opera giunti ormai ad uno stadio così avanzato.
La compromissione per il territorio veneto sarà altissimo se si pensa alla spada di Damocle del dissesto idrogeologico che pende sul vicentino. Se già oggi le perturbazioni intense comportano il rischio di inondazioni (si pensi all’alluvione dello scorso novembre), figuriamoci cosa potrà accadere dopo l’ulteriore impermeabilizzazione del territorio causata dalla S. P. e dalle sue opere accessorie.

A ciò si aggiunge il gravissimo fatto che la futura Superstrada comprometterà nel rosatese il Parco delle Roggie (vedi nota 8), ancora intatto naturalisticamente e prezioso testimone dell’antica società veneta. Esso venne istituito nel 2002 da una delibera della Giunta Regionale per preservarne il patrimonio da progetti che intendevano realizzare una bretella ovest alternativa alla statale 47. Grazie ai poteri straordinari conferitogli, il Commissario Vernizzi potrà purtroppo mettervi mano e compromettere così una delle rare zone che si erano conservate intatte dalla speculazione del cemento e dell’asfalto che ha caratterizzato il Veneto.
A Cusignana (Tv) invece, la realizzazione della S.P. comporterà un altro gravissimo scempio al patrimonio artistico-culturale veneto dato che essa lambirà Villa Agostini Tiretta9, palazzo nobiliare eretto ai primi del Cinquecento.
In difesa del territorio, della nostra cultura e della salute è necessario intervenire e diffondere quanto possibile questa denuncia, nella speranza che essa possa contribuire alla formazione di una maggiore consapevolezza e di un nuovo umanismo, imprescindibile dal rispetto dell’ambiente.

Associazione "Veneto Sostenibile", Bassano del Grappa (Vicenza)

L'ONDA GRIGIA CHE CANCELLA L'ITALIA

Palazzi, svincoli, centri commerciali, cave. CHI FA AFFARI col cemento fa pagare i costi ai cittadini. E LO CHIAMA “SVILUPPO”


Basta far scorrere la trama de Le conseguenze del cemento per capire che “le banche che con difficoltà concedono mutui alle giovani coppie, aprono gigantesche linee di credito a favore dei palazzinari […] e continuano a farlo anche quando il mercato immobiliare è irrimediabilmente fermo, quando lo stock di appartamenti invenduti (e il buon senso) suggerirebbe di smettere di costruire. Ma non possono farlo: per i bilanci delle banche, mentre garantire un mutuo è un debito, sostenere il progetto di un costruttore è una forma di investimento”. Fino a scoprire che esiste la figura specifica del land banker, il “banchiere della terra”, per usare le parole di Uni Land, una società per azioni quotata in borsa, un’attività che “interessa sostanzialmente il trading sui terreni”. Per leggere che le cave da cui si estraggono i materiali per il cemento spesso diventano delle discariche e che i cementifici che producono il cemento spesso bruciano rifiuti. Come scrive Luca Martinelli in uno dei capitoli finali del libro “la cementificazione non è l’unica ragion d’essere dell’intera filiera – nell’intreccio hanno un ruolo anche le periodiche “emergenze rifiuti” e la loro “temporanea” soluzione – ma senz’altro quella che la giustifica. Il ciclo del cemento ha senso a patto che si possa continuare a costruire. Per farlo, oggi, è richiesta estrema fantasia. Non basta più rifugiarsi nel mattone, perché l’edilizia residenziale non tira”. E allora ecco che compaiono verdi campi da golf, con strutture ricettive annesse, stadi pensati per trainare il business di enormi centri commerciali ed ex calciatori che dei centri commerciali hanno fatto il proprio privilegiato terreno d’affari.

Tre anni di lavoro, decine di viaggi in tutta Italia: un’inchiesta straordinaria che traccia il quadro del saccheggio al panorama italiano, ne spiega le motivazioni, svela gli interessi in gioco, individua le responsabilità, nome per nome.

http://www.altreconomia.it/site/ec_articolo_dettaglio.php?intId=133

sabato 3 settembre 2011

INAUGURAZIONE CARTELLO PER LA PROTEZIONE DEGLI ANIMALI DEL BRENTA IN VIA MACELLO A BASSANO




La zona destra Brenta (Angarano), tra il ponte Vecchio e quello Nuovo di Bassano, gradito luogo di  relax per la bellezza del panorama e per l’avi-fauna presente da anni, ha finalmente un cartello di notevoli dimensioni installato da pochi giorni, esplicativo sulla vita degli animali e sulle leggi che li proteggono. IL cartello è stato ideato dalla LAV cittadina, in collaborazione con L’Amministrazione Comunale di Bassano a seguito delle numerose segnalazioni di cittadini, che si trovano spesso ad assistere a scene incivili di maltrattamento sugli uccelli che frequentano la zona. Ci sono persone che spaventano gli animali, lanciano contro di loro oggetti, mozziconi di sigarette (sporcando e inquinando l’area), aizzano cani contro gli uccelli stessi. Ricordiamo alcuni fatti di cronaca passati nei quali sono intervenute le autorità fermando adulti e bambini che stavano sottraendo dal fiume gli animali che avevano appena ucciso.

Da tempo la LAV si è attivata per questo progetto ma l’iter burocratico per il rilascio delle numerose autorizzazioni per l’installazione del cartello,  è stato lunghissimo. Ora il cartello c’è, sito nel cuore della città. Vogliamo quindi cogliere l’occasione per ringraziare l’attuale Amministrazione Comunale, oltre per la concretizzazione di questo progetto, anche  per aver recentemente reso effettivo il regolamento comunale per la tutela degli animali; atti che hanno  aggiunto un ulteriore senso civico alla città. Un ringraziamento anche al Gruppo Antincendio Boschivo Protezione Civile di Bassano per la costruzione della bacheca e la posa del cartello
Oltre alle belle foto di animali, il cartello riporta brevi indicazioni su:
Cibo:  Gli animali non hanno bisogno di essere nutriti dall’uomo, ma, se si desidera farlo,  dare granaglie in genere . Non dare pane.
Nido:  Se ci si imbatte in qualche nido con uova lungo il Brenta in primavera,  non disturbare gli animali  e  sottrarne le uova in cova.
Divieti: E’ vietato dare la caccia a questi animali,  lanciare sassi, cicche, bastoni contro di loro, o incitare i  bambini e i cani  a spaventarli. Non abbandonare rifiuti,  né oggetti pericolosi, lungo il greto e nell’acqua del fiume.
Leggi: La Legge 157 del 11/2/92, la Legge Regionale del 9/12/93 n.50  e Legge n.189 del 20/7/04  agli art.544bis e 544 ter del Codice Penale, puniscono con una ammenda o fino all’arresto coloro che molestano, uccidono gli animali
Per un adeguato rispetto degli animali e dell’area chiediamo ai cittadini che frequentano l’argine la collaborazione nel rispettare e far rispettare le disposizioni  ricordando che tutte le forze dell’ordine hanno l'obbligo di intervenire in caso di maltrattamento verso gli animali;  ed invitiamo l’Amministrazione Comunale di Bassano, nell’applicazione del recente regolamento di tutela animali, di prevedere un controllo anche delle aree lungo Brenta.

La LAV coglie l’occasione per ricordare all’Assessore all’Urbanistica e all’ufficio Area dell’Assessorato all’Ambiente, ognuno per le proprie competenze,  di provvedere alla sistemazione della rampa di accesso al Brenta in prossimità del cartello, perché molto accidentata; in più crediamo sia conveniente il cambio di denominazione della via ”Macello” in qualche altro nome più “umano”, allo scopo di  dare un tono adeguato e ingentilito a tutta l’area. 
Oltre ai maltrattamenti verso gli animali, oggi, a creare perplessità, c’è il dilemma “passerella” del noto progetto Rosso–Bonotto. Se questo progetto diventasse realtà, la passerella andrebbe ancorata proprio in questo tratto di fiume deturpandolo con un ampia cementificazione, che distruggerebbe definitivamente questo splendido angolo “selvaggio”  della nostra città, costringendo le persone che desiderano appartarsi nella natura autentica per prendere fiato o per un momento romantico a fare fagotto assieme agli gli uccelli del Brenta.


LAV BASSANO
La Responsabile della Sede Territoriale di Bassano
Silvia Lovat