venerdì 30 dicembre 2011

PEDEMONTANA: IL TAR DEL LAZIO ACCOGLIE UN RICORSO E BLOCCA TUTTO


 Il Tar del Lazio ferma la Pedemontana Veneta accogliendo il ricorso di un trevigiano di Loria. I giudici amministrativi, con sentenza depositata il 24 dicembre, hanno dichiarato illegittima la dichiarazione dello stato di emergenza nel settore del traffico e della mobilità nel territorio dei comuni di Treviso e Vicenza, firmata dal premier Silvio Berlusconi il 31 luglio 2009, e la successiva ordinanza del 15 agosto con le disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare l’emergenza. Per questo vengono invalidate «non soltanto le proroghe successivamente disposte con riferimento alla delega di poteri nei confronti dell’organismo commissariale, ma anche le determinazioni assunte dal commissario delegato» (Silvano Vernizzi), tra queste il progetto definitivo firmato il 20 settembre scorso. Il Tar del Lazio ha infine condannato la presidenza del Consiglio dei ministri, la Regione Veneto e la Superstrada Pedemontana Veneta srl al pagamento delle spese di lite, 4.000 euro.
Una cifra ridicola se paragonata a 2.391 milioni di euro, ossia il costo per la realizzazione in project financing dell’infrastruttura che, secondo il progetto definitivo, dovrà collegare Montecchio Maggiore a Spresiano, passando per il distretto industriale di Thiene-Schio, Bassano e a nord di Treviso, incrociando 3 autostrade (l’A4, l’A31 e l’A27). Una lingua d’asfalto lunga 94 chilometri circa, unica superstrada a pedaggio in Italia, inaugurata il 10 novembre scorso a Romano d’Ezzelino con la posa della prima pietra da parte del governatore Luca Zaia.
Ma è un residente di Loria, paese tra le province di Treviso e Vicenza, a mettere i bastoni tra le ruote al megaprogetto. Assistito dal professor Luigi Garofalo e dall’avvocato Ludovica Bernardi, il 17 novembre 2010 ha presentato ricorso al Tar del Lazio per l’annullamento del decreto «di approvazione del progetto definitivo della superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta e dei relativi elaborati del progetto». L’uomo, proprietario a Loria di un terreno sul quale aveva realizzato un fabbricato ad uso residenziale, sosteneva che il tracciato della superstrada, così come da progetto definitivo, si sarebbe posizionato a brevissima distanza dalla sua abitazione.
Punto cardine del ricorso è la contestazione della dichiarazione dello stato emergenziale, che ha permesso al commissario delegato Vernizzi di approvare il progetto definitivo al posto del Cipe. E i giudici del Tar, su questo aspetto, danno giudizi molto chiari: «Negli ultimi anni la decretazione d’urgenza ha indotto un’evidente espansione del concetto stesso di “straordinarietà” dell’intervento (in molti casi atteggiantesi quale “ordinaria” modalità di attuazione dell’azione pubblica), va invece rimarcato come la necessità di riaffermazione dell’ordinario quadro normativo ordinamentale imponga di ricondurre l’impiego di tale strumento in un ambito di effettiva, quanto comprovabile, eccezionalità: sì da scongiurare la praticabilità di surrettizie scorciatoie esclusivamente preordinate a garantire l’inosservanza della legge, laddove quest’ultima venga “sterilizzata” dalla consentita derogabilità alle disposizioni di rango primario. Se, a tale riguardo, non può esimersi il Collegio dal formulare l’auspicio che la competente Pubblica Autorità promani un forte segnale di discontinuità quanto all’uso intensivo – quanto, frequentemente, inappropriato – della decretazione d’urgenza». Dunque, secondo il Tar, il ricorso contro la Pedemontana impone di ribadire l’inadeguatezza motivazionale del decreto presidenziale del 31 agosto 2009, e del successivo affidamento in concessione della progettazione, realizzazione e gestione della Pedemontana.
I giudici amministrativi sostengono anche che «deve affermarsi che la possibilità di deroga alla legislazione vigente si atteggia quale misura estrema, pur nell’ambito di una situazione intrinsecamente emergenziale: con la conseguenza che, affinché l’eccezionale potere di deroga possa considerarsi esercitato nell’ambito dei suddetti limiti, è imprescindibile che l’autorità amministrativa si faccia carico ex ante di individuare le principali norme che, applicabili in via ordinaria, pregiudicherebbero invece l’attuazione degli interventi di emergenza».
Per questi motivi il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha giudicato illegittimo il decreto sullo stato di emergenza del 2009 firmato da Berlusconi, l’ordinanza sulle disposizioni di protezione civile, invalidando così anche le determinazioni assunte dal commissario delegato.

Da “La Tribuna di Treviso” 30/12/2011

IL FALLIMENTO DELLA LEGGE OBIETTIVO




Dossier del WWF che propone un decalogo per superare la Legge


La Legge Obiettivo sulle cosiddette 'infrastrutture strategiche' aveva preso il via il 21 dicembre 2001 con un ambizioso obiettivo: riformare e migliorare la mobilità nel nostro paese destinandole risorse per 125,8 miliardi di euro, cresciuti sino ad oggi fino alla cifra di 367,4 miliardi, con un aumento delle opere da 117 a 390. Ebbene, di questi 367 miliardi le opere oggi ultimate ammontano a miseri 4,4 miliardi, poco più dell'1% del costo del Programma. L'allarme viene dal WWF che ha pubblicato oggi un dossier sulla questione, intitolato 'La contro-storia di 10 anni di Legge Obiettivo (21/12/2001-2011). Il decalogo per il superamento della Legge'.
I dati del WWF dimostrano come il denaro pubblico investito nel Programma non abbia sortito gli effetti sperati. Il trasporto su gomma ad esempio – quello che produce l'intasamento delle strade e la maggiore quantità di inquinamento, per intenderci – non solo non è diminuito nei dieci anni considerati, ma è addirittura aumentato passando dal 60% delle merci e l’85% dei passeggeri nel 200 al 62,28% e al 92,07% rispettivamente nel 2011. Questo è un problema perché ha indirizzato costantemente la maggior parte degli investimenti (il 45%, pari a 166 miliardi) alle strade a fronte del 38% (142 miliardi di euro) alle ferrovie, laddove il settore dei trasporti contribuisce, nella sua interezza, al 27% delle emissioni di CO². Non ha aiutato, di certo, quello che il WWF definisce 'assetto neo-corporativo' di relazioni fra Governo, stra-potenti concessionari stradali e general contractor che scaricano i 'rischi di impresa' sui finanziamenti pubblici e sui cittadini )attraverso aumento tariffari). Il quadro delle attuale opere infrastrutturali che esce dal dossier WWF è quello di opere messe in atto spesso in zone ad alto impatto ambientale (il 7% in aree naturali protette) con procedure di autorizzazione poco trasparenti e controlli democratici sui processi scarsi, a differenza di quanto era stato previsto dalla legge Merloni del 1992 che aveva traghettato la materia fuori da Tangentopoli, superata poi da disposizioni successive fra cui quelle che hanno dato attuazione alla Legge Obiettivo. Anche le Procedure di valutazione ambientale lasciano ampiamente a desiderare non prevedendo, ad esempio, meccanismi di concertazione pubblica con i cittadini sulle opere da realizzare o studi obbligatori di fattibilità economico-finanziaria che dimostrino l’utilità dell’opera, tramite un calcolo costi/benefici positivo, basato sulla comparazione tra varie alternative.
Se questi accorgimenti (e tanti altri) venissero messi in atto si potrebbe, forse, stilare una lista di opere (come quelle piccole e medio-piccole) che costituiscano davvero delle priorità per il paese, cercando di affrontare e risolvere il rischio idrogeologico, l'intasamento delle aree metropolitane, i collegamenti ferroviari e stradali carenti fra una città e l'altra e lasciando perdere alcune grandi opere (come il famoso Ponte sullo Stretto) che sarebbero solo sperpero di denaro pubblico e danno per l'ambiente. Il tutto cercando di bilanciare il divario Nord/Sud (l'attuale legge Obiettivo dedicava solo il 38% delle sue risorse al Sud). In sostanza: è evidente che 'l'obiettivo' che si voleva con la legge del 2001 è stato mancato: non sarà arrivato il momento che il governo Monti ne prenda atto e dia il via a un programma di nuovi e più ambiziosi obiettivi, più utili e rispettosi dell'ambiente?

Fonte: www.verdi.it/  

mercoledì 21 dicembre 2011

LA PEDEMONTANA FRIULANA E' IN PERICOLO


La Regione Friuli-Venezia Giulia intende affidare in concessione la progettazione, la realizzazione e la gestione del raccordo autostradale A28-A23 Cimpello-Sequals-Gemona a ditte private utilizzando lo strumento della finanza di progetto.
L’autostrada si dovrebbe sviluppare secondo due tronconi:
• la parte a sud – Cimpello-Sequals, prevede il raddoppiamento dell’attuale superstrada gratuita a 2 corsie (completata solo nel 1998), trasformandola in autostrada a pagamento a 4 corsie con 2 corsie di emergenza ridotte, che di fatto verrebbe regalata alla ditta costruttrice
• la parte a nord – Sequals-Gemona, di nuova costruzione, si dovrebbe snodare lungo il paesaggio collinare dei comuni di Castelnovo, Pinzano, Forgaria con lunghi tratti in viadotto e alcune gallerie, per oltrepassare il torrente Arzino e costeggiare il fiume Tagliamento in prossimità degli argini e infine attraversarlo con due viadotti di lunghezza di 450 e 380 m, separati da un tratto in appoggio in corrispondenza di un’isola centrale, nei Comuni di Forgaria e di San Daniele del Friuli.

Lungo il tracciato autostradale in progetto – nato improvvisamente nel 2009 trasformando un vecchio progetto di strada al servizio della comunità in un’autostrada scollegata dalla viabilità locale – si trovano ZPS come i Magredi del Meduna, SIC tra cui il fiume Tagliamento (ultimo fiume alpino morfologicamente intatto e per questo studiato da ricercatori di tutto il mondo) e un’altra decina di siti naturalistici a vario titolo protetti.

L’impatto dell’opera risulta devastante; nei documenti della Regione gli effetti sull’ambiente sono definiti “molto negativi”, in altri documenti si parla dei costi sociali, paesaggistici e ambientali con modificazione su scala locale degli habitat per flora e fauna.

Uno studio della provincia di Pordenone, relativo al vecchio progetto di strada a scorrimento veloce a 2 corsie con un transito giornaliero di 18.000 veicoli, evidenziava come in molti punti del tracciato l’inquinamento acustico e atmosferico si avvicinasse o superasse i limiti di legge. Cosa accadrebbe con un’autostrada per cui il transito previsto, prevalentemente di mezzi pesanti, oscilla tra i 23.000 transiti giornalieri iniziali e i 53.000 del 2050? In alcuni paesi interessati dal progetto le scuole dell’infanzia e le scuole primarie si troverebbero in un raggio di 500 metri dall’autostrada, quelli più fortunati sono a meno di 2 chilometri.
Ma tutto questo non è sufficiente a far desistere da un progetto costoso e inutile. La nuova autostrada diventerebbe infatti un doppione dell’attuale A23 Tarvisio-Palmanova (la differenza è di 2 Km su tragitti di oltre 100) e non servirebbe nemmeno a decongestionare la A4 Trieste-Venezia su cui, tra l’altro, stanno iniziando i lavori per la terza corsia. Di fatto la pedemontana friulana diventerebbe un corridoio di mero passaggio e vedrebbe svanire ogni possibilità di sviluppo sostenibile.
Il Comitato A.R.C.A., sorto spontaneamente nel marzo del 2011, si sta muovendo per informare la popolazione su questo progetto che alcune amministrazioni locali hanno cercato di far passare sotto silenzio o minimizzato e sta collaborando con altre amministrazioni per un diverso sviluppo del proprio territorio.

INFORMAZIONI:
All’indirizzo http://www.comitato-arca.it/ sono reperibili i documenti della regione e molte altre informazioni in merito a questo progetto.

FIRMA LA PETIZIONE ONLINE >

domenica 18 dicembre 2011

SCARTI INQUINANTI SUL FONDO DELLA VALDASTICO SUD

Scarti di produzioni industriali (scarti di fonderia altamente inquinanti) depositati (nottetempo) sul fondo della Valdastico Sud, che passa in mezzo a siti agricoli e ville venete  bellissime: il tutto anche addirittura rivendicato dai nostri Giornale di Vicenza e Gazzettino, come modi produttivi e innovativi per smaltire rifiuti con poca spesa e in modo utile. Cose da pazzi! Sostanze e metalli pericolosi documentati con analisi chimiche (trovati cromo, amianto e altri veleni) e foto, con raccolta addirittura di campioni che ci sono stati mostrati. Un cane che beve ad una pozzanghera e muore stecchito! Questi e altri racconti che abbiamo potuto sentire con le nostre orecchie.
Il tutto a somiglianza di quanto già emerso in Lombardia sul fondo dell’autostrada BREBEMI dove già la magistratura è intervenuta in modo molto incisivo per accertare e punire i responsabili.
E’ stata fatta denuncia alla magistratura sul problema e in corso svolgendo un’indagine.
Se lo stesso faranno le ditte (pare che siano le stesse) nelle altre opere in programma (Valdastico Nord, Valsugana, Pedemontana) c’è da preoccuparsi ulteriormente, visto che in questa zona c’è il problema delle falde acquifere che verrebbero irrimediabilmente inquinate da questi materiali.










venerdì 9 dicembre 2011

MANIFESTAZIONE PER LA DIFESA DEI FIUMI E DEI BENI COMUNI

Appello ManiFESTAzione
Sabato 17 dicembre Belluno dalle ore 14
 per la difesa dei fiumi, per i diritti di cittadinanza, per la democrazia dei beni comuni

Il 12 e 13 giugno la maggioranza del popolo italiano ha votato contro la privatizzazione dell’acqua. Un evento storico attraverso il quale si è affermato un nuovo protagonismo decisionale da parte dei cittadini. Un vasto movimento democratico, consapevole e partecipativo che ha saputo contaminare l’intero paese, costruire coesione sociale e una nuova cultura in difesa dei beni comuni. Un risultato straordinario, che va ora concretizzato, territorio per territorio, perché lo sfruttamento insostenibile dell’acqua è già in atto, ha radici storiche e riguarda il suo intero ciclo vitale. La provincia di Belluno è esempio emblematico di ciò, caratterizzata com’è da un bacino idrografico che in sessant’anni è stato quasi totalmente artificializzato. Il 90 per cento delle acque della Piave e dei suoi maggiori affluenti sono attualmente sfruttate in decine di impianti di produzione, costrette in centinaia di prese, bacini artificiali, sbarramenti, deviate in canalizzazioni e in una rete di tubature per oltre 200 km, che ne hanno, di fatto, sancito la loro sostanziale privatizzazione. Enormi  volumi di acqua che vengono quotidianamente utilizzati in assenza di rigorosi controlli e di adeguati strumenti di pianificazione, da soggetti d’ impresa, incuranti delle sostenibilità ambientali e insensibili ai diritti sociali ed economici delle comunità locali. Sul quel 10 per cento di acqua rimasta ancora libera di scorrere nei propri alvei  naturali in questi ultimi tempi sono state presentate ben 127 richieste per nuove concessioni idroelettriche che andranno ad incidere su 70 corpi idrici di queste montagne. La più significativa riguarda la realizzazione di una nuova mega centrale idroelettrica, (Camolino-Busche), voluta da Enel e En&En, che prevede la costruzione di una condotta forzata di 11 Km con un diametro di circa 5 metri e che attraverserà quattro diversi comuni. Si vuole  imporre questa “grande opera”, nonostante che le cittadinanze si siano già espresse con forza contro la realizzazione del progetto, attraverso partecipate assemblee pubbliche e finanche un referendum consultivo tenutosi in uno dei comuni interessati. Fermare questa imposizione significa quindi, riaffermare quel principio per cui sull’acqua e sui beni comuni devono essere i cittadini a poter scegliere tra la difesa degli interessi  generali e le logiche del profitto privato. Un principio che ci parla di democrazia, di autogoverno dei territori, concetti troppo spesso sbandierati ideologicamente anche dagli stessi politici locali, ma che poi, sulle questioni concrete, vengono abbandonati in favore delle “ragioni” dei soliti poteri economici forti ed in cambio di misere  contropartite. Noi ,invece, vogliamo ripartire dalla dignità delle nostre popolazioni e dal nostro profondo legame con questi territori ed intendiamo riempire di contenuti e proposte gestionali parole e formule altrimenti vuote quali “patrimonio mondiale dell’umanità”,  o “siti di importanza comunitaria”.Difendere e rinaturare i nostri fiumi vuol dire allora conservare le nostre arterie di vita, i nostri flussi di memoria, mettere in campo importanti politiche di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico, migliorare la depurazione, garantire l’alimentazione delle falde, gli utilizzi idropotabili e favorire l’efficienza di quelli irrigui, qualificare e valorizzare paesaggi naturali, quindi interiori delle persone, unici, che sono la vera ricchezza non delocalizzabile della nostra Provincia. In gioco non ci sono  quindi solo gli incentivi drogati dei certificati verdi dell’idroelettrico o le datate e sovradimensionate  concessioni dei consorzi irrigui ma  l’intero  ciclo del bene acqua che vuol dire qualità e sicurezza dell’abitare, ricadute sociali ed economiche possibili per le nostre comunità, in sintesi le visioni di futuro per questa Provincia. Un bene comune quindi, che necessita di particolari forme di governo, dalle quali siano escluse le velleità speculative dei privati, ma che allo stesso tempo non si appiattiscano su modelli gestionali del “pubblico lottizzato”, schiacciato dalle logiche dei partiti, come è successo per Bim Gsp, la società che gestisce il servizio idrico integrato in provincia di Belluno. “Un mostro” che ha accumulato decine di milioni di euro di debiti, caratterizzato da una gestione e da un controllo societari inadeguati, poco trasparenti, sordi alle istanze che in questi anni abbiamo sollevato. Andare oltre questo modello non solo   è necessario ma è oggi possibile attraverso una gestione partecipata e condivisa che in questi anni abbiamo cominciato a prefigurare con mobilitazioni, referendum, raccolte firme, incontri pubblici, proposte di legge, sollecitazioni agli Enti Locali. Anche se molto è già stato fatto, siamo solo all’inizio, perché un nuovo “governo dell’acqua” è tutto da costruire e soprattutto da conquistare perché, ne siamo consapevoli, nessuno ci regalerà nulla.
Per questo abbiamo voluto convocare per sabato 17 dicembre una maniFESTAzione a Belluno, una giornata di festa popolare, di unità, di consapevolezza per ribadire che queste non sono terre di conquista, che l’acqua non è una merce ma un bene comune, che dai referendum indietro non si torna, che tra la borsa e la vita noi scegliamo la vita.

Comitato Acqua Bene Comune