venerdì 30 dicembre 2011

PEDEMONTANA: IL TAR DEL LAZIO ACCOGLIE UN RICORSO E BLOCCA TUTTO


 Il Tar del Lazio ferma la Pedemontana Veneta accogliendo il ricorso di un trevigiano di Loria. I giudici amministrativi, con sentenza depositata il 24 dicembre, hanno dichiarato illegittima la dichiarazione dello stato di emergenza nel settore del traffico e della mobilità nel territorio dei comuni di Treviso e Vicenza, firmata dal premier Silvio Berlusconi il 31 luglio 2009, e la successiva ordinanza del 15 agosto con le disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare l’emergenza. Per questo vengono invalidate «non soltanto le proroghe successivamente disposte con riferimento alla delega di poteri nei confronti dell’organismo commissariale, ma anche le determinazioni assunte dal commissario delegato» (Silvano Vernizzi), tra queste il progetto definitivo firmato il 20 settembre scorso. Il Tar del Lazio ha infine condannato la presidenza del Consiglio dei ministri, la Regione Veneto e la Superstrada Pedemontana Veneta srl al pagamento delle spese di lite, 4.000 euro.
Una cifra ridicola se paragonata a 2.391 milioni di euro, ossia il costo per la realizzazione in project financing dell’infrastruttura che, secondo il progetto definitivo, dovrà collegare Montecchio Maggiore a Spresiano, passando per il distretto industriale di Thiene-Schio, Bassano e a nord di Treviso, incrociando 3 autostrade (l’A4, l’A31 e l’A27). Una lingua d’asfalto lunga 94 chilometri circa, unica superstrada a pedaggio in Italia, inaugurata il 10 novembre scorso a Romano d’Ezzelino con la posa della prima pietra da parte del governatore Luca Zaia.
Ma è un residente di Loria, paese tra le province di Treviso e Vicenza, a mettere i bastoni tra le ruote al megaprogetto. Assistito dal professor Luigi Garofalo e dall’avvocato Ludovica Bernardi, il 17 novembre 2010 ha presentato ricorso al Tar del Lazio per l’annullamento del decreto «di approvazione del progetto definitivo della superstrada a pedaggio Pedemontana Veneta e dei relativi elaborati del progetto». L’uomo, proprietario a Loria di un terreno sul quale aveva realizzato un fabbricato ad uso residenziale, sosteneva che il tracciato della superstrada, così come da progetto definitivo, si sarebbe posizionato a brevissima distanza dalla sua abitazione.
Punto cardine del ricorso è la contestazione della dichiarazione dello stato emergenziale, che ha permesso al commissario delegato Vernizzi di approvare il progetto definitivo al posto del Cipe. E i giudici del Tar, su questo aspetto, danno giudizi molto chiari: «Negli ultimi anni la decretazione d’urgenza ha indotto un’evidente espansione del concetto stesso di “straordinarietà” dell’intervento (in molti casi atteggiantesi quale “ordinaria” modalità di attuazione dell’azione pubblica), va invece rimarcato come la necessità di riaffermazione dell’ordinario quadro normativo ordinamentale imponga di ricondurre l’impiego di tale strumento in un ambito di effettiva, quanto comprovabile, eccezionalità: sì da scongiurare la praticabilità di surrettizie scorciatoie esclusivamente preordinate a garantire l’inosservanza della legge, laddove quest’ultima venga “sterilizzata” dalla consentita derogabilità alle disposizioni di rango primario. Se, a tale riguardo, non può esimersi il Collegio dal formulare l’auspicio che la competente Pubblica Autorità promani un forte segnale di discontinuità quanto all’uso intensivo – quanto, frequentemente, inappropriato – della decretazione d’urgenza». Dunque, secondo il Tar, il ricorso contro la Pedemontana impone di ribadire l’inadeguatezza motivazionale del decreto presidenziale del 31 agosto 2009, e del successivo affidamento in concessione della progettazione, realizzazione e gestione della Pedemontana.
I giudici amministrativi sostengono anche che «deve affermarsi che la possibilità di deroga alla legislazione vigente si atteggia quale misura estrema, pur nell’ambito di una situazione intrinsecamente emergenziale: con la conseguenza che, affinché l’eccezionale potere di deroga possa considerarsi esercitato nell’ambito dei suddetti limiti, è imprescindibile che l’autorità amministrativa si faccia carico ex ante di individuare le principali norme che, applicabili in via ordinaria, pregiudicherebbero invece l’attuazione degli interventi di emergenza».
Per questi motivi il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha giudicato illegittimo il decreto sullo stato di emergenza del 2009 firmato da Berlusconi, l’ordinanza sulle disposizioni di protezione civile, invalidando così anche le determinazioni assunte dal commissario delegato.

Da “La Tribuna di Treviso” 30/12/2011

IL FALLIMENTO DELLA LEGGE OBIETTIVO




Dossier del WWF che propone un decalogo per superare la Legge


La Legge Obiettivo sulle cosiddette 'infrastrutture strategiche' aveva preso il via il 21 dicembre 2001 con un ambizioso obiettivo: riformare e migliorare la mobilità nel nostro paese destinandole risorse per 125,8 miliardi di euro, cresciuti sino ad oggi fino alla cifra di 367,4 miliardi, con un aumento delle opere da 117 a 390. Ebbene, di questi 367 miliardi le opere oggi ultimate ammontano a miseri 4,4 miliardi, poco più dell'1% del costo del Programma. L'allarme viene dal WWF che ha pubblicato oggi un dossier sulla questione, intitolato 'La contro-storia di 10 anni di Legge Obiettivo (21/12/2001-2011). Il decalogo per il superamento della Legge'.
I dati del WWF dimostrano come il denaro pubblico investito nel Programma non abbia sortito gli effetti sperati. Il trasporto su gomma ad esempio – quello che produce l'intasamento delle strade e la maggiore quantità di inquinamento, per intenderci – non solo non è diminuito nei dieci anni considerati, ma è addirittura aumentato passando dal 60% delle merci e l’85% dei passeggeri nel 200 al 62,28% e al 92,07% rispettivamente nel 2011. Questo è un problema perché ha indirizzato costantemente la maggior parte degli investimenti (il 45%, pari a 166 miliardi) alle strade a fronte del 38% (142 miliardi di euro) alle ferrovie, laddove il settore dei trasporti contribuisce, nella sua interezza, al 27% delle emissioni di CO². Non ha aiutato, di certo, quello che il WWF definisce 'assetto neo-corporativo' di relazioni fra Governo, stra-potenti concessionari stradali e general contractor che scaricano i 'rischi di impresa' sui finanziamenti pubblici e sui cittadini )attraverso aumento tariffari). Il quadro delle attuale opere infrastrutturali che esce dal dossier WWF è quello di opere messe in atto spesso in zone ad alto impatto ambientale (il 7% in aree naturali protette) con procedure di autorizzazione poco trasparenti e controlli democratici sui processi scarsi, a differenza di quanto era stato previsto dalla legge Merloni del 1992 che aveva traghettato la materia fuori da Tangentopoli, superata poi da disposizioni successive fra cui quelle che hanno dato attuazione alla Legge Obiettivo. Anche le Procedure di valutazione ambientale lasciano ampiamente a desiderare non prevedendo, ad esempio, meccanismi di concertazione pubblica con i cittadini sulle opere da realizzare o studi obbligatori di fattibilità economico-finanziaria che dimostrino l’utilità dell’opera, tramite un calcolo costi/benefici positivo, basato sulla comparazione tra varie alternative.
Se questi accorgimenti (e tanti altri) venissero messi in atto si potrebbe, forse, stilare una lista di opere (come quelle piccole e medio-piccole) che costituiscano davvero delle priorità per il paese, cercando di affrontare e risolvere il rischio idrogeologico, l'intasamento delle aree metropolitane, i collegamenti ferroviari e stradali carenti fra una città e l'altra e lasciando perdere alcune grandi opere (come il famoso Ponte sullo Stretto) che sarebbero solo sperpero di denaro pubblico e danno per l'ambiente. Il tutto cercando di bilanciare il divario Nord/Sud (l'attuale legge Obiettivo dedicava solo il 38% delle sue risorse al Sud). In sostanza: è evidente che 'l'obiettivo' che si voleva con la legge del 2001 è stato mancato: non sarà arrivato il momento che il governo Monti ne prenda atto e dia il via a un programma di nuovi e più ambiziosi obiettivi, più utili e rispettosi dell'ambiente?

Fonte: www.verdi.it/  

mercoledì 21 dicembre 2011

LA PEDEMONTANA FRIULANA E' IN PERICOLO


La Regione Friuli-Venezia Giulia intende affidare in concessione la progettazione, la realizzazione e la gestione del raccordo autostradale A28-A23 Cimpello-Sequals-Gemona a ditte private utilizzando lo strumento della finanza di progetto.
L’autostrada si dovrebbe sviluppare secondo due tronconi:
• la parte a sud – Cimpello-Sequals, prevede il raddoppiamento dell’attuale superstrada gratuita a 2 corsie (completata solo nel 1998), trasformandola in autostrada a pagamento a 4 corsie con 2 corsie di emergenza ridotte, che di fatto verrebbe regalata alla ditta costruttrice
• la parte a nord – Sequals-Gemona, di nuova costruzione, si dovrebbe snodare lungo il paesaggio collinare dei comuni di Castelnovo, Pinzano, Forgaria con lunghi tratti in viadotto e alcune gallerie, per oltrepassare il torrente Arzino e costeggiare il fiume Tagliamento in prossimità degli argini e infine attraversarlo con due viadotti di lunghezza di 450 e 380 m, separati da un tratto in appoggio in corrispondenza di un’isola centrale, nei Comuni di Forgaria e di San Daniele del Friuli.

Lungo il tracciato autostradale in progetto – nato improvvisamente nel 2009 trasformando un vecchio progetto di strada al servizio della comunità in un’autostrada scollegata dalla viabilità locale – si trovano ZPS come i Magredi del Meduna, SIC tra cui il fiume Tagliamento (ultimo fiume alpino morfologicamente intatto e per questo studiato da ricercatori di tutto il mondo) e un’altra decina di siti naturalistici a vario titolo protetti.

L’impatto dell’opera risulta devastante; nei documenti della Regione gli effetti sull’ambiente sono definiti “molto negativi”, in altri documenti si parla dei costi sociali, paesaggistici e ambientali con modificazione su scala locale degli habitat per flora e fauna.

Uno studio della provincia di Pordenone, relativo al vecchio progetto di strada a scorrimento veloce a 2 corsie con un transito giornaliero di 18.000 veicoli, evidenziava come in molti punti del tracciato l’inquinamento acustico e atmosferico si avvicinasse o superasse i limiti di legge. Cosa accadrebbe con un’autostrada per cui il transito previsto, prevalentemente di mezzi pesanti, oscilla tra i 23.000 transiti giornalieri iniziali e i 53.000 del 2050? In alcuni paesi interessati dal progetto le scuole dell’infanzia e le scuole primarie si troverebbero in un raggio di 500 metri dall’autostrada, quelli più fortunati sono a meno di 2 chilometri.
Ma tutto questo non è sufficiente a far desistere da un progetto costoso e inutile. La nuova autostrada diventerebbe infatti un doppione dell’attuale A23 Tarvisio-Palmanova (la differenza è di 2 Km su tragitti di oltre 100) e non servirebbe nemmeno a decongestionare la A4 Trieste-Venezia su cui, tra l’altro, stanno iniziando i lavori per la terza corsia. Di fatto la pedemontana friulana diventerebbe un corridoio di mero passaggio e vedrebbe svanire ogni possibilità di sviluppo sostenibile.
Il Comitato A.R.C.A., sorto spontaneamente nel marzo del 2011, si sta muovendo per informare la popolazione su questo progetto che alcune amministrazioni locali hanno cercato di far passare sotto silenzio o minimizzato e sta collaborando con altre amministrazioni per un diverso sviluppo del proprio territorio.

INFORMAZIONI:
All’indirizzo http://www.comitato-arca.it/ sono reperibili i documenti della regione e molte altre informazioni in merito a questo progetto.

FIRMA LA PETIZIONE ONLINE >

domenica 18 dicembre 2011

SCARTI INQUINANTI SUL FONDO DELLA VALDASTICO SUD

Scarti di produzioni industriali (scarti di fonderia altamente inquinanti) depositati (nottetempo) sul fondo della Valdastico Sud, che passa in mezzo a siti agricoli e ville venete  bellissime: il tutto anche addirittura rivendicato dai nostri Giornale di Vicenza e Gazzettino, come modi produttivi e innovativi per smaltire rifiuti con poca spesa e in modo utile. Cose da pazzi! Sostanze e metalli pericolosi documentati con analisi chimiche (trovati cromo, amianto e altri veleni) e foto, con raccolta addirittura di campioni che ci sono stati mostrati. Un cane che beve ad una pozzanghera e muore stecchito! Questi e altri racconti che abbiamo potuto sentire con le nostre orecchie.
Il tutto a somiglianza di quanto già emerso in Lombardia sul fondo dell’autostrada BREBEMI dove già la magistratura è intervenuta in modo molto incisivo per accertare e punire i responsabili.
E’ stata fatta denuncia alla magistratura sul problema e in corso svolgendo un’indagine.
Se lo stesso faranno le ditte (pare che siano le stesse) nelle altre opere in programma (Valdastico Nord, Valsugana, Pedemontana) c’è da preoccuparsi ulteriormente, visto che in questa zona c’è il problema delle falde acquifere che verrebbero irrimediabilmente inquinate da questi materiali.










venerdì 9 dicembre 2011

MANIFESTAZIONE PER LA DIFESA DEI FIUMI E DEI BENI COMUNI

Appello ManiFESTAzione
Sabato 17 dicembre Belluno dalle ore 14
 per la difesa dei fiumi, per i diritti di cittadinanza, per la democrazia dei beni comuni

Il 12 e 13 giugno la maggioranza del popolo italiano ha votato contro la privatizzazione dell’acqua. Un evento storico attraverso il quale si è affermato un nuovo protagonismo decisionale da parte dei cittadini. Un vasto movimento democratico, consapevole e partecipativo che ha saputo contaminare l’intero paese, costruire coesione sociale e una nuova cultura in difesa dei beni comuni. Un risultato straordinario, che va ora concretizzato, territorio per territorio, perché lo sfruttamento insostenibile dell’acqua è già in atto, ha radici storiche e riguarda il suo intero ciclo vitale. La provincia di Belluno è esempio emblematico di ciò, caratterizzata com’è da un bacino idrografico che in sessant’anni è stato quasi totalmente artificializzato. Il 90 per cento delle acque della Piave e dei suoi maggiori affluenti sono attualmente sfruttate in decine di impianti di produzione, costrette in centinaia di prese, bacini artificiali, sbarramenti, deviate in canalizzazioni e in una rete di tubature per oltre 200 km, che ne hanno, di fatto, sancito la loro sostanziale privatizzazione. Enormi  volumi di acqua che vengono quotidianamente utilizzati in assenza di rigorosi controlli e di adeguati strumenti di pianificazione, da soggetti d’ impresa, incuranti delle sostenibilità ambientali e insensibili ai diritti sociali ed economici delle comunità locali. Sul quel 10 per cento di acqua rimasta ancora libera di scorrere nei propri alvei  naturali in questi ultimi tempi sono state presentate ben 127 richieste per nuove concessioni idroelettriche che andranno ad incidere su 70 corpi idrici di queste montagne. La più significativa riguarda la realizzazione di una nuova mega centrale idroelettrica, (Camolino-Busche), voluta da Enel e En&En, che prevede la costruzione di una condotta forzata di 11 Km con un diametro di circa 5 metri e che attraverserà quattro diversi comuni. Si vuole  imporre questa “grande opera”, nonostante che le cittadinanze si siano già espresse con forza contro la realizzazione del progetto, attraverso partecipate assemblee pubbliche e finanche un referendum consultivo tenutosi in uno dei comuni interessati. Fermare questa imposizione significa quindi, riaffermare quel principio per cui sull’acqua e sui beni comuni devono essere i cittadini a poter scegliere tra la difesa degli interessi  generali e le logiche del profitto privato. Un principio che ci parla di democrazia, di autogoverno dei territori, concetti troppo spesso sbandierati ideologicamente anche dagli stessi politici locali, ma che poi, sulle questioni concrete, vengono abbandonati in favore delle “ragioni” dei soliti poteri economici forti ed in cambio di misere  contropartite. Noi ,invece, vogliamo ripartire dalla dignità delle nostre popolazioni e dal nostro profondo legame con questi territori ed intendiamo riempire di contenuti e proposte gestionali parole e formule altrimenti vuote quali “patrimonio mondiale dell’umanità”,  o “siti di importanza comunitaria”.Difendere e rinaturare i nostri fiumi vuol dire allora conservare le nostre arterie di vita, i nostri flussi di memoria, mettere in campo importanti politiche di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico, migliorare la depurazione, garantire l’alimentazione delle falde, gli utilizzi idropotabili e favorire l’efficienza di quelli irrigui, qualificare e valorizzare paesaggi naturali, quindi interiori delle persone, unici, che sono la vera ricchezza non delocalizzabile della nostra Provincia. In gioco non ci sono  quindi solo gli incentivi drogati dei certificati verdi dell’idroelettrico o le datate e sovradimensionate  concessioni dei consorzi irrigui ma  l’intero  ciclo del bene acqua che vuol dire qualità e sicurezza dell’abitare, ricadute sociali ed economiche possibili per le nostre comunità, in sintesi le visioni di futuro per questa Provincia. Un bene comune quindi, che necessita di particolari forme di governo, dalle quali siano escluse le velleità speculative dei privati, ma che allo stesso tempo non si appiattiscano su modelli gestionali del “pubblico lottizzato”, schiacciato dalle logiche dei partiti, come è successo per Bim Gsp, la società che gestisce il servizio idrico integrato in provincia di Belluno. “Un mostro” che ha accumulato decine di milioni di euro di debiti, caratterizzato da una gestione e da un controllo societari inadeguati, poco trasparenti, sordi alle istanze che in questi anni abbiamo sollevato. Andare oltre questo modello non solo   è necessario ma è oggi possibile attraverso una gestione partecipata e condivisa che in questi anni abbiamo cominciato a prefigurare con mobilitazioni, referendum, raccolte firme, incontri pubblici, proposte di legge, sollecitazioni agli Enti Locali. Anche se molto è già stato fatto, siamo solo all’inizio, perché un nuovo “governo dell’acqua” è tutto da costruire e soprattutto da conquistare perché, ne siamo consapevoli, nessuno ci regalerà nulla.
Per questo abbiamo voluto convocare per sabato 17 dicembre una maniFESTAzione a Belluno, una giornata di festa popolare, di unità, di consapevolezza per ribadire che queste non sono terre di conquista, che l’acqua non è una merce ma un bene comune, che dai referendum indietro non si torna, che tra la borsa e la vita noi scegliamo la vita.

Comitato Acqua Bene Comune

mercoledì 30 novembre 2011

IL 12 DICEMBRE PRESIDIO DAVANTI IL TRIBUNALE DI TRENTO

 

Tricom: la lotta continua

Partecipiamo numerosi il 12 dicembre al presidio davanti il Tribunale di Trento a sostegno dei nostri compagni denunciati



   Le vicende della Tricom/Galvanica PM di Tezze sul Brenta, (così come le abbiamo conosciute in questi anni), hanno rivelato l’enormità del livello dell’inquinamento prodotto dall’azienda, che ha causato danni irreversibili al territorio e ha portato a numerosi decessi tra i lavoratori per malattia professionale, causa l’esposizione a sostanze tossiche presenti nel processo produttivo.
   Ma, se il disastro ambientale ha avuto  conseguenze penali per il responsabile dell’azienda Zampierin, la malattia e la morte di numerosi lavoratori rimangono totalmente impunite.
Il tribunale di Bassano del Grappa, infatti, con la sentenza dello scorso 24 maggio, ha disposto l’assoluzione, “perché il fatto non sussiste”, degli imputati: il già nominato Zampierin, il suo socio nell’azienda, Adriano Sgarbossa e il direttore Rocco Battistella, già sindaco per 25 anni di Tezze sul Brenta. 
   Questa assoluzione, inaccettabile sotto il profilo del diritto e della democrazia, ha portato a  dure proteste da parte dei famigliari delle vittime e del loro Comitato. In particolare, a seguito della lettura della sentenza, la sorpresa e l’indignazione dei presenti al presidio indetto dal Comitato di fronte al tribunale, portavano al lancio di alcune uova e a qualche duro slogan.
   Per questi fatti, 8 lavoratori dei comitati di Tezze/Bassano e di quello omonimo di Sesto San Giovanni (MI), sono stati denunciati per minacce ed imbrattamento.
Saranno per questo processati il 12 dicembre prossimo presso il tribunale di Trento.
   E’ inaccettabile che, a fronte di una sentenza vergognosa, siano processati coloro che per anni hanno sostenuto le giuste richieste di giustizia da parte dei famigliari delle vittime, mentre vengano  assolti i padroni, responsabili di questa ennesima tragedia del lavoro.

Per questo la lotta che abbiamo intrapreso continua, anche a Trento.

   Abbiamo indetto un presidio di protesta e di lotta davanti al tribunale locale, in occasione dell’apertura del processo, lunedì 12 dicembre 2011 alle 9.
   Raccogliamo l’adesione di  chi comprende la necessità della lotta dei lavoratori per condizioni di vita e lavoro migliori; in un momento, come quello attuale, in cui i padroni, sostenuti dai loro governi di centro destra, di centro sinistra o di unità nazionale, conducono un attacco senza precedenti ai lavoratori, al punto che la tutela della salute nei luoghi di  lavoro, per la quale ci battiamo, vede un drammatico incremento dei decessi per infortuni e malattie professionali.

A fianco dei famigliari delle vittime dello sfruttamento padronale
Solidarietà a chi lotta e resiste!
                                      
                               Tutti a Trento il 12 dicembre!


Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio di Tezze s/B e Bassano


Stiamo organizzando un pullman per partecipare al presidio di Trento. Inviare le adesioni a:

venerdì 25 novembre 2011

SILENZIO TOTALE SULLE CAVE IN VALBRENTA


Non si sente più parlare delle cave in Valbrenta. Eppure continuano a scavare senza sosta.
A Carpanè la miniera si sta mangiando una parte di montagna, mentre nei pressi di Cismon i cavatori stanno facendo sparire i conoidi di deiezione, (che sono quelli che rendono la vallata più interessante dal punto di vista ambientale), quando invece dovrebbero asportare solo la parte superficiale. Questo accade anche tra Primolano e il confine con il trentino.  
I comuni che potrebbero  ostacolare certe attività, dal momento che non c'è un vero e proprio incentivo economico che vada a loro vantaggio con queste cave invece accettano tutto questo.
L'incentivo poi ha un valore insignificante, e il ritorno monetario dovrebbe essere calcolato sui volumi di materiale esportato..
Tutto ciò sta contribuendo all'impoverimento del territorio ed all'allontanamento dei residenti.


Intanto la situazione delle cave in Veneto e in Italia è un business senza regole.
Secondo Legambiente la situazione delle cave è un’ottima cartina di tornasole per capire come si sta orientando il futuro del nostro Paese. Questo settore è infatti in forte connessione con il settore delle infrastruture, dell’edilizia, del Made in Italy (con le ceramiche) e non ultima con la gestione urbanistica e del paesaggio.

In molti paesi europei la legislazione sulle cave è stata rivista di pari passo con la necessità di un adeguamento alla green economy. Legambiente intende perciò con questo studio mettere in evidenza i problemi e portare alla luce una situazione che sembra non essere presa in considerazione da nessuna istituzione nel nostro Paese. Lo studio è costruito attraverso un questionario inviato alle Regioni ed alle Province competenti, incrociando i dati con studi europei e di settore. Le cave attive sono 5.736 mentre sono 13.016 quelle dismesse nelle Regioni in cui esiste un monitoraggio. A queste ultime si dovrebbero sommare le cave abbandonate in Calabria, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia, il che porterebbe il dato a superare di gran lunga le 15 mila cave dismesse.
Nel 2010, con la crisi economica, soprattutto quella del settore edilizio, i numeri si sono ridimensionati rimanendo però impressionanti. Sono infatti 90 i milioni di metri cubi estratti nel 2010 solo per sabbia e ghiaia, materiali fondamentali nelle costruzioni, ma altrettanto elevati sono i quantitativi di calcare (41,7 milioni di metri cubi anche in questo caso utilizzati nel ciclo del cemento) e di pietre ornamentali (12 milioni di metri cubi). L’estrazione di sabbia e ghiaia rappresenta il 59% di tutti i materiali cavati in Italia; ai primi posti Lombardia, Lazio e Piemonte, che da sole raggiungono il 50% del totale estratto ogni anno con 43 milioni di metri cubi.
Il quadro normativo per la gestione di questa grande attività è fermo al Regio Decreto del 1927. Al centro-nord almeno il quadro delle regole è completo: i Piani Cava sono periodicamente aggiornati per rispondere alle richieste di una lobby dei cavatori organizzata. Mentre particolarmente preoccupanti sono le situazioni di Veneto, Abruzzo, Molise, Sardegna, Calabria, Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia e Piemonte, tutte Regioni che non hanno un Piano Cave in vigore. L’assenza dei piani è particolarmente grave perché in pratica si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l'autorizzazione senza alcun riferimento su quanto, dove, come cavare. E se si considera il peso che le Ecomafie hanno nella gestione del ciclo del cemento e nel controllo della aree di estrazione è particolarmente preoccupante una situazione priva di regole.
L’Italia, fra l’altro, in controtendenza con tutti gli altri paesi europei continua a consumare cemento, seppure con una lieve flessione, in maniera davvero preoccupante: con oltre 34 milioni di tonnellate di cemento consumati in un periodo di crisi, per una media di 565 chili per ogni cittadino a fronte di una media europea di 404.
I motivi sono la costruzione di una grande quantità di case negli ultimi anni, un ritardo nell’innovazione tecnologica che rallenta e rende farraginosa la realizzazione di infrastrutture.
Poi vi è un uso eccessivo nelle opere pubbliche spinto da un quadro normativo arretrato (e da evidenti interessi economici) oltre che da un ritardo culturale della progettazione rispetto agli altri Paesi europei che ne utilizzano molto meno a parità (o maggiori) interventi realizzati.
I guadagni per i lavori in cava sono soltanto per chi estrae. In media nelle Regioni si paga il 4% del prezzo di vendita degli inerti.
Ancora più incredibile è la situazione delle Regioni dove si cava gratis: Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Ma anche Valle d’Aosta e Lazio dove si chiedono pochi centesimi di euro per cavare metri cubi di inerti.
Le entrate per gli Enti Pubblici sono quindi davvero esigue rispetto al giro d’affari del settore. Il totale nazionale di tutte le concessioni pagate nelle Regioni, per sabbia e ghiaia, arriva a 36 milioni di Euro rispetto a 1 miliardo e 115 milioni di Euro l’anno ricavato dai cavatori dalla vendita.
L’ Emilia-Romagna la Regione dove si sta facendo di più, non solo rispetto al recupero delle aree dismesse ed alla pianificazione, ma anche in relazione ad i possibili aumenti dei canoni proposti in una risoluzione approvata dall’Assemblea Legislativa Regionale.
Un ragionamento importante, e legato inevitabilmente al tema delle regole, è quello della fiscalità. Non solo perché è assurdo che il costo del prelievo sia addirittura spesso pari a zero a fronte di guadagni altissimi dalla vendita dei materiali, ma anche per il costo esiguo del conferimento a discarica dei rifiuti provenienti dall’edilizia. Occorre invertire questa situazione, favorendo il riciclo degli inerti in modo da arrivare a ridurre sensibilmente l’utilizzo delle discariche come avviene negli altri Paesi europei.

giovedì 17 novembre 2011

LO SCANDALO DELLE MUCCHE A TERRA IN PROVINCIA DI VICENZA

                                                    

                                          
                                                               COMUNICATO STAMPA

 Il calvario straziante di alcune mucche trascinate a forza verso il macello: dopo le ripetute denunce della LAV, nuova straordinaria inchiesta sullo scandalo delle "mucche a terra", realizzata da Edoardo Stoppa di Striscia la notizia (Canale 5) e trasmessa il 14 novembre: con un filmato realizzato in provincia di Vicenza. Mucche non in grado di deambulare, con fratture alle zampe e altre patologie, spinte a forza sul tir per essere portate al macello benché la normativa vieti la macellazioni di animali in tali drammatiche condizioni.
Le illegalità commesse ai danni delle “mucche a terra” non trovano soluzione e proseguono da anni nonostante le denunce, il divieto tassativo previsto dalla legge, le circolari ministeriali e le condanne per maltrattamento dei tribunali. Una vera e propria filiera di illegalità, di operatori economici che violano sistematicamente le leggi nazionali ed europee, provocando gravi sofferenze agli animali e l’immissione in commercio di carni a rischio sanitario per i consumatori. L’industria della macellazione ha trasformato la sofferenza di animali a fine carriera in un business molto produttivo.
Come LAV denunciamo da anni queste grave violazioni, la pratica dei certificati falsi rilasciati da medici veterinari liberi professionisti, l’inefficacia dei controlli sul benessere degli animali nei macelli, come dimostrano le relazioni annuali sui controlli durante il trasporto inviate a Bruxelles – afferma Roberto Bennati, vicepresidente LAV -  La veterinaria privata e il servizio sanitario pubblico difendano il proprio ruolo da questa economia illecita e tutelino la salute dei cittadini e il benessere degli animali. Chiediamo la radiazione dall’Albo dei medici veterinari del Medico intervistato ieri da Striscia la notizia, che non solo non ha smentito la paternità della documentazione ma anzi l’ha confermata ritenendo tale comportamento incredibilmente in linea con la propria coscienza di medico veterinario. Oltre all’eventuale reato di falso ideologico, che sarà accertato dalla Magistratura insieme ai reati di maltrattamento e altre gravissime ipotesi di reato contro la salute pubblica, si tratta di una piena ed evidente violazione del codice deontologico dei medici veterinari: ci auguriamo che l’Ordine dei Medici presso cui è iscritto il Medico coinvolto nell’inchiesta, voglia difendere una nobile professione esprimendo tolleranza zero verso tali comportamenti”.
Chiediamo inoltre al Ministero della Salute di aprire subito un tavolo con i Servizi Veterinari delle Regioni per l’applicazione della norma sul trasporto e per prendere provvedimenti incisivi nei confronti di questa filiera illegale, innalzando subito la vigilanza veterinaria nei macelli e applicando sanzioni amministrative e penali che nella materia sono molto chiare e nette. – prosegue Bennati - Chiediamo inoltre ai Servizi veterinari competenti di accertare le stalle di provenienza di questi animali e di  revocare immediatamente tutti i contributi pubblici a tali allevatori per le violazioni delle regole della condizionalità. Far pagare ai cittadini il prezzo di tanta barbarie è inaccettabile”. 
Ci domandiamo come sia possibile che tale illegalità continui e non possiamo che denunciare nuovamente la totale assenza di impegno a rispettare la legge da parte di molti allevatori, trasportatori, macellatori e medici veterinari. Proprio ieri si è conclusa l’Ispezione dell’Ufficio Veterinario della Commissione Europea nel nostro Paese, ispezione effettuata proprio per monitorare le inadempienze dell’Italia su questa materia ed è emblematico che proprio in queste ore vi sia stata una nuova denuncia così importante da parte di Striscia la notizia. Il sistema dei controlli veterinari sulle “vacche a terra” è stato più volte censurato dagli Ispettori della Commissione Europea, ci aspettiamo che anche questa volta avverrà una nuova e chiara reprimenda in questa direzione.
Ufficio Stampa LAV 06 4461325

IL 26 NOVEMBRE IN PIAZZA PER L'ACQUA


IL 26 NOVEMBRE IN PIAZZA PER L’ACQUA. I BENI COMUNI E LA DEMOCRAZIA
PER IL RISPETTO DELL'ESITO REFERENDARIO, PER UN'USCITA ALTERNATIVA DALLA CRISI
 

 

 
Il 12 e 13 giugno scorsi la maggioranza assoluta del popolo italiano ha votato per l’uscita dell’acqua dalle logiche di mercato, per la sua affermazione come bene comune e diritto umano universale e per una gestione pubblica e partecipativa del servizi...o idrico.

Un voto netto e chiaro, con il quale 27 milioni di donne e uomini, per la prima volta dopo decenni, hanno ripreso fiducia nella partecipazione attiva alla vita politica del nostro paese e hanno indicato un’inversione di rotta rispetto all’idea del mercato come unico regolatore sociale.

Ad oggi nulla di quanto deciso ha trovato alcuna attuazione: la legge d’iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua continua a giacere nei cassetti delle commissioni parlamentari, gli enti locali - ad eccezione del Comune di Napoli - proseguono la gestione dei servizi idrici attraverso S.p.A. e nessun gestore ha tolto i profitti dalla tariffa.

Non solo. Con l’alibi della crisi e dei diktat della Banca Centrale Europea, il Governo ha rilanciato, attraverso l’art. 4 della manovra estiva, una nuova stagione di privatizzazioni dei servizi pubblici locali, addirittura riproponendo il famigerato”Decreto Ronchi” abrogato dal referendum.
Governo e Confindustria, poteri finanziari e lobbies territoriali, resisi conto che il popolo ha votato contro di loro, hanno semplicemente deciso di abolire il popolo, producendo una nuova e gigantesca espropriazione di democrazia.

IL RISULTATO REFERENDARIO DEVE ESSERE RISPETTATO
E TROVARE IMMEDIATA APPLICAZIONE

Per questo, il movimento per l’acqua si prepara a lanciare la campagna nazionale “Obbedienza civile”, ovvero una campagna che, obbedendo al mandato del popolo italiano, produrrà in tutti i territori e con tutti i cittadini percorsi auto organizzati e collettivi di riduzione delle tariffe dell’acqua, secondo quanto stabilito dal voto referendario.

Quello che avviene per l’acqua è solo il paradigma di uno scenario più ampio dentro il quale si colloca la crisi globale. Un sistema insostenibile è giunto al capolinea. I poteri forti invece di prenderne atto invertendo la rotta, ne hanno deciso la prosecuzione, attraverso la continua restrizione del ruolo del pubblico a colpi di necessità imposte dalla riduzione del debito e dai patti di stabilità, la consegna dei beni comuni al mercato, tra cui la conoscenza e la cultura, lo smantellamento dei diritti del lavoro anche attraverso l'art. 8 della manovra estiva, la precarizzazione dell’intera società e la conseguente riduzione degli spazi di democrazia.

Indietro non si torna. Dalla crisi non si esce se non cambiando sistema, per vedere garantiti: il benessere sociale, la tutela dei beni comuni e dell’ambiente, la fine della precarietà del lavoro e della vita delle persone, un futuro dignitoso e cooperativo per le nuove generazioni.

Un altro modello di società è necessario per l’intero pianeta. Insieme proveremo a costruirlo anche nei prossimi appuntamenti internazionali, come la conferenza sui cambiamenti climatici di Durban di fine novembre e a Marsiglia nel Forum Alternativo Mondiale dell'acqua a Marzo 2012.

Siamo vicini ai popoli che subiscono violenze, ingiustizie e vengono privati del diritto all’acqua come in Palestina, di cui ricorre il 26 novembre la Giornata internazionale di solidarietà proclamata dall’Assemblea della Nazioni Unite.

Per tutti questi motivi il popolo dell’acqua tornerà in piazza il prossimo 26 novembre e invita tutte e tutti a costruire una grande e partecipata manifestazione nazionale.

Vogliamo che sia il luogo di tutte e di tutti, da qui l’invito a costruirlo insieme, come sempre è stata l’esperienza del movimento per l’acqua. Un movimento che ha sempre praticato la radicalità nei contenuti e la massima inclusione, con modalità condivise, allegre, pacifiche e determinate nelle forme di mobilitazione, considerando le une inseparabili dalle altre.
Per questo, nel prepararci a costruire l’appuntamento con la massima inclusione possibile, altrettanto francamente dichiariamo indesiderabile la presenza di chi non intenda rispettare il modo di esprimersi di questa ricchissima esperienza.

Vogliamo costruire una giornata in cui siano le donne e gli uomini di questo paese a riprendersi la piazza e la democrazia, invitando ad essere presenti tutte e tutti quelli che condividono questi contenuti e le nostre forme di mobilitazione, portando le energie migliori di una società in movimento, che, tra la Borsa e la Vita, ha scelto la Vita.

E un futuro diverso per tutte e tutti.

Promuove: Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua

lunedì 14 novembre 2011

LA POPOLAZIONE E LE ASSOCIAZIONI DI CRESPANO DICONO NO ALL'IMPIANTO A BIOGAS

                                      Un impianto a Biogas come quello di Crespano



Il sindaco di Crespano ha approvato in Giunta una Delibera di intenti in cui propone di realizzare una CENTRALE A BIOGAS pare di circa un megawatt nel territorio di Crespano.
I cittadini della Pedemontana e numerose Associazioni hanno approfondito e discusso gli aspetti del progetto, arrivando alla conclusione di essere assolutamente contrari.
Non contrari ad un impianto in quanto tale, ma contrari alle DIMENSIONI SPROPOSITATE DELL'IMPIANTO PROPOSTO, E ALLA SUA UBICAZIONE, IN UN TERRITORIO CON SICURAMENTE ALTRA VOCAZIONE!!!!

Le Associazioni, i Comitati Popolari, gli agricoltori, gli allevatori e i rappresentanti consigliari della Pedemontana del Grappa e dell'Asolano

riunitisi in assemblea, dopo aver attentamente analizzato quanto Proposto dal Sindaco di Crespano.


1) Ribadiscono il loro fermo e deciso NO al progetto di impianto a Biogas così come proposto dalla Giunta Comunale di Crespano del Grappa.
2) Considerano INACCETTABILE che DUE SOCIETA' ESTRANEE al territorio e aventi sede a Milano e Roma realizzino l'impianto a Crespano, traendone ENORMI VANTAGGI ECONOMICI.Tutto ciò senza una garanzia rigorosa e certa circa le ricadute sulla viabilità, la sicurezza, le condizioni ambientali, urbanistiche e paesaggistiche di un territorio fragile e delicato com'è quello della zona  in cui l'impianto è previsto.
3) Non è moralmente nè economicamente accettabile che si utilizzino RISORSE ALIMENTARI (MAIS) provenienti da altri territori per far funzionare l'impianto sconvolgendo e distorcendo l'equilibrio colturale, produttivo e ambientale del nostro territorio.


Le Associazioni, i Comitati Popolari, gli agricoltori, gli allevatori e i rappresentanti consigliari della Pedemontana del Grappa e dell'Asolano


SI DICHIARANO DISPONIBILI A VERIFICARE LA FATTIBILITA' DI UN IMPIANTO A BIOGAS A BASSA POTENZIALITA', CHE SIA DEL TUTTO COMPATIBILE CON IL CONTESTO AMBIENTALE  E LOGISTICO DELL'AREA PEDEMONTANA


A condizione che


1) L'impianto sia progettato, finanziato e gestito totalmente ed esclusivamente dagli stessi agricoltori e allevatori del nostro territorio, in colaborazione con le loro associazioni di categoria, e NON DA SOCIETA' ESTERNE. Il fabbisogno del territorio è MOLTO INFERIORE  A QUELLO PREVISTO DA UN'IMPIANTO DI 1 MEGAWATT PROPOSTO!!!
2) L'impianto sia alimentato SOLO CON LIQUAMI E DEIEZIONI ANIMALI provenienti dagli impianti di coltivatori e allevatori del Comune di Crespano del Grappa e non da esterni  che non possono essere controllati!!
3) L'impianto abbia una potenzialità calibrata sulla produttività delle aziende di Crespano e sia realizzato con le più avanzate tecnologie e garanzie per l'ambiente e la popolazione.
4) La popolazione del comune di Crespano del Grappa sia chiamata a dare il suo consenso mediante REFERENDUM POPOLARE così come previsto dallo Statuto Comunale.
5) Siano coinvolte e informate le popolazioni e le Amministrazioni dei Comuni Limitrofi la Comunità Montana del Grappa e dell'Asolano (IPA).

MANTENIAMO ALTA L'ATTENZIONE SUL NOSTRO TERRITORIO

Le Associazioni e i Comitati

Comitato Ambiente, territorio e tutela dei beni comuni di Crespano del Grappa
Ass. Sentieri Natura-San Zenone degli Ezzelini
Associati di Italia Nostra dell'Asolano
Ass. Marigold-San Zenone degli Ezzelini
Ass. Il Fiore-Fonte
Comitato Oasi di San Daniele
Ass. Oasi di San Daniele
Gruppo Acquisto Solidale Asolo
Ass. Aria Nova-Pederobba
Ass. La Pervinca-Bassano del Grappa
Gruppo Allevatori di Crespano del Grappa

Gruppi Consigliari dei Comuni
"Sempre per Crespano" di Crespano del Grappa
"Impegno Democratico" di Crespano del Grappa
Due gruppi di Mussolente
Lista Civica "Borso Viva" di Borso del Grappa
Gruppo di Maggioranza e di Minoranza di San Zenone degli Ezzelini
"Con Te per Asolo" di Asolo
"Insieme per Asolo" di Asolo
"Per Monfumo" di Monfumo

venerdì 11 novembre 2011

POSA DELLA PRIMA PIETRA A ROMANO D'EZZELINO



Ieri a Romano d'Ezzelino (VI) è andata in scena una ridicola finzione mediatica, meglio nota come pagliacciata; lasciando a debita distanza la democrazia (nessun cittadino comune, normale se preferite, ha potuto assistere alla solenne cerimonia) il governatorato del Veneto, e tutte le istituzioni locali hanno dato vita alla cerimonia di posa della prima pietra dell'Autostrada Pdemontana Veneta!

• Anche il nostro Comitato ha voluto essere presente alla pagliacciata!

Si perché di pagliacciata di tratta!

- un'infrastruttura rappresentata da un'autostrada a pagamento (roba da dopoguerra!) per pensare allo sviluppo nel terzo millenio è una pagliacciata!

- un'infrastruttura devastante (che qualcuno definisce un sacrificio che il territorio deve sopportare) imposta ai cittadini senza uno straccio di studio/ricerca sui reali impatti economico-sociali, senza uno studio/ricerca dei costi-benefici, senza un minimo di studio che evidenzi i presunti vantaggi/benessere per i cittadini è una pagliacciata!

- un'infrastruttura che sia presentata con uno studio d'impatto ambientale realizzato dalla Committente (studio che mette esso stesso in guardia circa l'impatto negativo "…patologie tumorali…" che l'opera avrà sulla salute dei cittadini, soprattutto i bambini) e mai controverificato dalle istituzioni che dovrebbero essere garanti dei diritti e della salute dei cittadini, da uno studio d'impatto idrogeologico (sempre realizzato dalla committente) che già da sé prevede rischi importanti per l'assetto idrogeologico del territorio, beh queste sono TRISTI pagliacciate!

- Pagliacci, se mi permettete sono le persone che plaudono a questa cerimonia; sono gli stessi che si presentano alle esondazioni di Vicenza, di Verona, di Treviso (l'ultima 2 giorni fa) dicendo con assoluto buon senso che la cementificazione del territorio sta mettendo in crisi il sistema idrogeologico e la nostra sicurezza, salvo poi sciorinare Autostrada Pedemontana Veneta, Valdastico Sud, Valdastico Nord, Nuova Valsugana, Veneto City, TAV, Motor city di Verona, Romea Commerciale, Ampliamento aeroporto di Venezia, terminal off-shore a Venezia per le navi da crociera, etc.

Nel mezzo di una crisi economica di dimensioni mai viste si spendono soldi per opere inutili e per inutili e ridicole cerimonie di inaugurazione del nulla!

NOI DICIAMO CHE L'ALTERNATIVA ESISTE:

- Perché non ammodernare le strade esistenti e studiarne un utilizzo efficiente?
- Perché non pensare a sistemi di trasporto leggero su rotaie per alcune tratte?
- Perché non investire i soldi che la regione (cioè tutti noi cittadini) dovremo pagare per quest'opera, per infrastrutture moderne, banda larga, trasporto fluviale, etc?
- Perché se veramente si ha a cuore la viabilità locale questa strada è a pagamento con sbarramenti d'ingresso (caselli- che diventano nel loro intorno aree demaniali ad uso e consumo della Regione) per accedervi?

LASCIO PER ULTIMI PER TRISTEZZA, NON PER IMPORTANZA TUTTE
LE ILLEGALITA' CHE PERCORRONO L'ITER BUROCRATICO DI QUEST'OPERA.

- Una su tutte la nomina di un commissario straordinario, come se l'assetto viabilistico di Vicenza e Treviso fosse pari ad un terremoto, ad una alluvione, etc. Forse le nostre istituzioni dovrebbero avere più rispetto di chi veramente è colpito da situazioni di calamità naturale, non relegarli alla stregua di cittadini che devono guadagnare 5 minuti nei loro spostamenti!

- L'opera parte senza alcuna copertura economica, altro che project financing; la regione Veneto ha dato in concessione per 39 anni l'Autostrada ai costruttori. Il Veneto (i cittadini) si è anche impegnato a versare ogni anno centinaia di migliaia di euro alla Committente qualora vi fosse un mancato introito in pedaggi dovuto a flusso di traffico inferiore alle previsioni(35000 veicoli al giorno).

ILLEGALITA' ed ABUSI legati a quest'opera sarebbero materia
ampia per REPORT, PRESA DIRETTA, etc.
Comitati Difesa Salute Territorio

domenica 6 novembre 2011

BASSANO IN BICI, OGGI E DOMANI

Sabato 3 dicembre 2011 alle ore 9,00 in Sala Martinovich, Piazzale Cadorna, Bassano del Grappa, si terrà un interessante convegno sulla mobilità sostenibile con la presenza di vari relatori.


sabato 5 novembre 2011

IMMAGINI DALLA MANIFESTAZIONE NO PEDEMONTANA VENETA

Alcune immagini della manifestazione di oggi 5 novembre 2011 a Mason contro il progetto di Autostrada Pedemontana Veneta.







Oggi alle ore 17. Si è conclusa la manifestazione a Mason, zona industriale di Villa Raspa, a cui hanno partecipato molte persone (circa 300) in rappresentanza di realtà in lotta o sensibili sul tema dei beni comuni, dalla Piazza dei beni comuni di Vicenza, a Montecchio Slegata, al Comitato di Posina, ai comitati della zona
di Bassano e molti altri.
Tutti hanno portato la loro testimonianza in questo momento significativo della lotta contro la 'Grande Opera' che si vorrebbe pubblica, ma pubblica non è, nè nei guadagni, nè negli scopi nè nel metodo secondo cui è stata progettata.

Dopo l'intervento di BEPI DE MARZI che ha espresso il suo personale dolore nel constatare la rapina e la distruzione ai danni dell'ambiente e della campagna, il corteo si è avviato verso la zona del cantiere percorrendo la strada Gasparona (che verrà scippata come altre strade del percorsoche erano state costruite per togliere il traffico dai paesi). Ci sono stati poi gli interventi di due giovani laureati (e indignati !!) che hanno ricordato quanto quest'opera incide sull'ambiente, distruggendo il terreno agricolo e lasciando al suo posto capannoni per lo più vuoti come quelli che abbiamo potuto vedere ai lati.
Ma la crisi per questi costruttori e asfaltatori non esiste, per loro c'è sempre qualcosa da azzannare.
Al suono di un ottimo jazz, da un certo punto in poi, il corteo si è trasformato in funerale, depositando un cuscino di fiori funebre all'ingresso del cantiere sotto lo sguardo vigile di un nutrito (a nostre spese) schieramento di polizia.
E' il funerale del modello di sviluppo attuale, che certo non ha molte prospettive a giudicare dalla crisi in atto. Ma... c'è vita oltre il capitalismo! Come era scritto su uno degli striscioni appesi alla recinzione. Infatti la società dei beni comuni si avvicina.
La mobilitazione continua!

martedì 1 novembre 2011

AUTOSTRADA VALSUGANA? NON LA VOGLIAMO



Da tempo ormai si parla della necessità di allargare la Strada Statale 47 della Valsugana. Al di là delle questioni tecniche, non tutti però sembrano essere d'accordo sul fatto che più strade portino maggiore sviluppo.  Tra questi c'è anche il Comitato Difesa Salute e Territorio che ha provato a spiegarci, attraverso dei ragionamenti,  le motivazioni che lo spingono ad opporsi al progetto di realizzazione di un' autostrada.

A partire dagli anni sessanta del secolo scorso c'è stato, in Italia, un modello di sviluppo basato sull'espansione continua dell'economia ed in particolare dell'industria. Si produceva di più, per esportare di più ed acquistare di più in modo da poter produrre di più per poter acquistare di più ed esportare di più.
Si è ragionato come se l'interazione di questo ciclo potesse perpetuarsi all'infinito. Sull'altare dell'industrializzazione (ossia della disponibilità di grandi quantità di beni consumabili) sono stati sacrificati, come minimo, la qualità dell'ambiente, del territorio, ma anche della vita e delle relazioni umane e sociali.
In quel periodo, le infrastrutture, sono state un aspetto importante e sottovalutato da parte di chi avrebbe dovuto pianificare lo sviluppo del paese.

Infatti tra gli anni Sessanta e Ottanta sono state realizzate le principali infrastrutture (autostrade, ammodernamento delle ferrovie, elettrodotti, linee telefoniche ) che tuttora attraversano il nostro paese, senza però che dietro di esse ci fosse un disegno organico proiettato verso un futuro a media-lunga distanza temporale. Spesso l'infrastruttura è arrivata in ritardo rispetto alla struttura alla quale avrebbe dovuto erogare servizio, altre volte non è mai arrivata. In altre parole e semplificando al massimo, la mancanza di pianificazione ha fatto si che prima nascessero le fabbriche e poi le strade per collegare le fabbriche al territorio.

Se vogliamo declinare quanto detto sopra nella realtà veneta, dobbiamo partire da due evidenze:
a) la galassia di capannoni ed edifici industriali più o meno grandi spuntati come funghi nel veneto per almeno 30 anni (parzialmente attenuatasi negli utlimi dieci);
b) la costellazione di centri logistici ma soprattutto commerciali e direzionali cresciuti negli utlimi dieci anni e tuttora in espansione. Tutti questi agglomerati sono affogati nel territorio senza collegamento tra loro e senza un piano logico che non sia quello della mera speculazione edilizia.

Qesto modello di sviluppo del territorio, ha generato un progressivo intasamento delle vecchie strade che collegavano i piccoli e medi centri attorno e dentro ai quali sono stati costruiti gli edifici di cui sopra: il traffico generato dallo spostamento di merci e dall'indotto delle attività industriali, artigianali e commercial , ha trovato sbocco su strade concepite in altri periodi e destinate a supportare un traffico più ridotto e di altra natura. Da qui nasce la famosa frase che ci sentiamo ripetere come un mantra ad ogni piè sospinto : "le strade le ghe vole". Questa frase ce la sentiamo ripetere sempre da chi in quegli anni e su quel modello ha fondato il proprio "benessere". Si tratta in genere di persone di una certa età che pensano che il modello che loro conoscono sia l'unico proponibile e realizzabile e che ad esso non vi sia alternativa.

Noi partiamo da un altro punto di vista. Noi pensiamo che occorra pensare tutto il territorio come una grande risorsa da non saccheggiare e violentare con ulteriore asfalto e cemento. La globalizzazione dei mercati che è in atto da almeno dieci anni e la crisi di sistema che attraversiamo dal 2007 ci dovrebbe far capire che il futuro non è più nella crescita illimitata, ma nella ricerca di alternative rispettose del pianeta e delle generazioni che stanno crescendo e che verranno dopo di noi. Noi non torneremo ad essere la Cina d'Europa. Chi produceva merci dozzinali che non hanno bisogno di tecnologia e di manodopera altamente qualificata, ha già da tempo delocalizzato all'estero. Noi dobbiamo tornare a fare due cose: a)quello che sapevamo fare prima dello sviluppo industriale, ossia agricoltura tipica e di qualità b) quello che alcuni (quelli che non hanno delocalizzato) hanno imparato a fare durante lo sviluppo industriale, ossia manufatti di altissima qualità.

In questo contesto, col calo di merci circolanti e conseguentemente del traffico, la costruzione di nuove autostrade, oltre a sottrarre risorse economiche pubbliche a tutti noi (come si capisce nel seguito), è evidentemente inutile e dannosa per il bene comune, ma invece molto utile a chi dalla costruzione e gestione delle stesse trae vantaggio e a chi può disporre dei terreni adiacenti. Oggi la tendenza è di sostituire le strade gratuite con autostrade a pagamento costruite col metodo del progetto di finanza che apparentemente fa pagare al privato i costi per la realizzazione, ma che in realtà pesa sulla comunità e sul singolo cittadino sia che esso fruisca dell'opera finita, sia che non ne fruisca. E' un fatto risaputo che chi utilizza l'autostrada, paga il pedaggio. E' meno risaputo invece, che anche chi non la utilizza paga.

Per la precisione, il cittadino che non la utilizza paga dapprima la quota con la quale il soggetto pubblico finanzia l'opera (una parte del costo totale), e successivamente paga i finanziamenti erogati dall'ente pubblico al concessionario (la società che costruisce e gestisce l'opera in concessione) con meccanismi meno evidenti in caso i flussi di traffico siano inadeguati a garantire le entrate minime al privato.
Un esempio di quanto detto è la Pedemontana Veneta, per la quale se i flussi di traffico saranno inferiori ai 24.000 veicoli al giorno, la Regione Veneto interverrà con denari propri (ossia pubblici, ossia nostri) ed erogherà un contributo pari a 14 milioni di euro anui (per 39 anni), fino al raggiungimento della soglia dei 40.000 veicoli al giorno.

Il progetto Valsugana, per quanto è dato sapere, assomiglia molto a quello della Pedemontana per le modalità con cui verrebbe finanziato (progetto di finanza). La sua realizzazione, per essere economicamente conveniente al privato (che la finanzia) dovrebbe avere flussi di traffico paragonabili al passante di Mestre, con in aggiunta dei pedaggi così alti da renderla l'autostrada più cara d'europa. Chi pagherà allora il mancato guadagno del privato? Esiste una contropartita che potrebbe rendere appetibile la costruzione della

Autostrada Valsugana?
E se dietro al progetto Valsugana, si celasse non un miglioramento della viabilità come da anni richiesto dalla popolazione della Vallata e con tanto di progetti di risoluzione, bensì la creazione di un'asse tra Bassano e Castelfranco lungo il quale sviluppare altrettanti centri commerciali? Potrebbe essere questa la contropartita di cui dicevamo sopra? Noi sappiamo che lungo i 94 chilometri a 6 corsie più complanari lungo i quali correrà la Pedemontana Veneta vi sono 17 aree (quelle attorno ai caselli) ognuna di 12.500.000 mq che sono sottratte alla pianificazione locale e sono demandate alla pianificazione della sola giunta regionale attraverso i cosiddetti progetti strategici.

Lì potrebbero nascere ulteriori poli logistici e centri commerciali senza che le popolazioni locali possano dire la propria opinione. Alcuni tentativi ci sono già stati ad esempio a Breganze con la vicenda Pengo.
Potrebbe essere la Valsugana un altro modo di fare speculazione, visto che il terreno agricolo è sempre più scarso e il terreno costruito sempre di più, e ciononostante ancora il terreno agricolo vale meno del terreno costruito e inutilizzato? Quello che la risposta evoca, dovrebbe farci paura.

E proprio per vincere questa paura, noi dobbiamo porporre l'alternativa, ossia una visione diversa del futuro e dei modelli di vita. Possiamo immaginare un modello di sviluppo e di mobilità alternativo, dove la grossa parte delle merci viaggiano su rotaia e su acqua, dove la banda larga permette ai lavoratori della conoscenza di lavorare da casa propria almeno tre giorni su cinque, dove non si mangiano le ciliegie in inverno facendole arrivare dall'altro lato del pianeta, ma si aspetta la stagione giusta per mangiarle, dove si tende al km zero non solo per l'agricoltura ma anche per il manifatturiero, dove non si comperano tre telefonini all'anno e così via. La lettura della realtà, oggi ci dice che questa è la strada da imboccare. Quelle di asfalto non ci porteranno da nessuna parte.

Comitato Difesa Salute e Territorio Altovicentino-Malo-Valle Agno -Bassano

mercoledì 26 ottobre 2011

MALTEMPO: I GEOLOGI, MANCA LEGGE DI GOVERNO DEL TERRITORIO

L'anno scorso in Veneto, oggi in Liguria e Toscana. Perchè le violenti piogge portano morte e distruzione. L'opinione dei geologi. 


                                                                    Vicenza 2010 

Un territorio violentato e saccheggiato dall’uomo, unito ad un’atavica predisposizione dell’Italia al rischio idrogeologico, e norme urbanistiche arretrate: sono alcune delle cause che insieme spiegano quello che è accaduto in queste ore in Liguria e Toscana, dove le violenti piogge hanno portato morte e devastazione. L’analisi arriva dai geologi italiani, che conoscono bene le caratteristiche del suolo nel nostro paese e i rischi a cui è soggetto, e che ora chiedono con forza una nuova ‘legge di governo del territorio’. Come ci spiega in questa intervista Gian Vito Graziano, presidente del Consiglio nazionale dei Geologi.

Perchè succede quello che abbiamo visto in Liguria, Toscana, o a Roma la settimana scorsa, oppure a Giampilieri, Sarno, Atrani, andando indietro nel tempo?
 Al di là della fragilità atavica del nostro territorio, c’è il problema che nel tempo l’uomo ha continuato a urbanizzare, costruire e consumare suolo. Questo ha fatto sì che diminuisse la capacità del terreno di assorbire l’acqua, con la conseguenza che i fiumi, già saccheggiati e violentati, non riescono più a smaltire questa quantità eccessiva di carico. Bisogna riconcepire le nostre città in modo diverso, perchè i modelli con i quali ci confrontiamo oggi non sono più adatti.

Di solito si dice che le norme ci sono ma non si applicano, voi invece chiedete nuove leggi. Cos’è che manca?
 Una classe politica illuminata dovrebbe capire che il territorio è la più grande infrastruttura che possediamo. E oggi cosa fa il governo per questa infrastruttura? Nulla. Ad esempio non possiamo avere ancora una legge urbanistica del 1942, con una concezione vecchia e ormai superata. Anche le leggi regionali sull’urbanistica, seppure aggiornate, sono rimaste ferme agli anni ‘70-’80. Serve una nuova legge di governo del territorio, un’azione di mitigazione del rischio idrogeologico. Mettere in campo azioni significa cominciare a fare un piano di manutenzione che abbia come primo obiettivo le aree metropolitane che sono quelle più a rischio. Ma di tutto questo non c’è assolutamente nulla, abbiamo solo una legge che impone alle Regioni di fare i Pai, i piani di assetto idrogeologici, ma quella non è un’azione di governo.

Quali sono oggi le zone più a rischio?
 Non si può dire in termini assoluti, ma di certo in generale tutte quelle più urbanizzate. E poi, per la conformazione del territorio, la Liguria, ma anche la Sicilia, si pensi a zone come Messina. Il problema non è solo legato al fatto che le città sono state concepite in maniera selvaggia, ma anche che non si è posta nessuna azione di rimedio. Se oggi ci fossero a ogni costruzione delle misure compensative del consumo di suolo, come ad esempio un sistema di raccolta delle acque, già sarebbe un primo passo, ma non esiste una legge che lo imponga.

Fonte: AgenParl

giovedì 20 ottobre 2011

NO ALLA PEDEMONTANA E PER UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO

Un’opera che in questo momento di grave crisi, anziché inserirsi in una nuova visione economica e sociale basata sui Beni Comuni (unica via di uscita dalla crisi) si fonda ancora una volta sulla distruzione e l’espropriazione del territorio, sulla mancata informazione e il non coinvolgimento dei cittadini, sul modello di sviluppo consumistico e di rapina basato su auto+asfalto+cemento+grandi opere+finanza che ha già messo in crisi le risorse della terra. Partecipiamo tutti



mercoledì 19 ottobre 2011

IL TAR CONFERMA IL BLOCCO DELLA CACCIA IN DEROGA


COMUNICATO STAMPA



Oggi il Tar del Veneto, esaminando il ricorso presentato dalla Lega per l'abolizione della caccia e su richiesta del rappresentante legale dei cacciatori, ha deciso di rimandare la sentenza sulla caccia in deroga al 3 novembre. Di conseguenza la sospensione della caccia in deroga in Veneto viene prorogata fino a questa data. “Si tratta di una notizia eccezionale che consente altri 17 giorni di tregua agli uccelli nel picco del periodo migratorio. A prescindere dalla decisione del 3 novembre, siamo riusciti ad evitare un terribile massacro permettendo alla maggior parte degli uccelli di attraversare incolumi i nostri cieli”, è il commento di Andrea Zanoni,  Presidente della LAC Veneto.

I cacciatori non sanno più che pesci pigliare”, attacca Zanoni, “tant'è che loro stessi arrivano a temporeggiare nel momento in cui passa nei nostri cieli il maggior numero di fringuelli e pispole”. “La verità e che non hanno più argomenti a sostegno di una caccia in deroga in violazione della normativa comunitaria Uccelli. Stiamo andando verso il funerale della caccia in deroga”, continua Zanoni.

Il lavoro che sto facendo anche in Europa, con le mie interrogazioni alla Commissione europea, sta dando i suoi frutti”. Zanoni ricorda che in un incontro che ha tenuto a Bruxelles lo scorso 13 ottobre con un rappresentante del gabinetto del Commissario Ue all'Ambiente Janez Potocnik per parlare della caccia in deroga in Veneto e Lombardia, la Commissione ha confermato che “Bruxelles sta seguendo da vicino il caso e che è decisa a portare il procedimento fino in fondo” contro le violazioni italiane.

Il 5 ottobre il Presidente del Tar Veneto, con decreto n° 810/2011, aveva sospeso la delibera regionale n° 1506 sulla caccia in deroga a specie protette accogliendo così il ricorso della LAC. Dopo il rinvio di oggi, la delibera approvata il 20 settembre scorso dalla Giunta Zaia resta sospesa fino al 3 novembre, quando il collegio del Tar si riunirà per prendere una decisione finale.

LAC - Lega per l'abolizione della caccia Email: lacveneto@ecorete.it
Tel. 0422 591119
Sito www.lacveneto.it

venerdì 14 ottobre 2011

LA FORESTA DEL CANSIGLIO E' UN BENE COMUNE!



Il Patrimonio culturale e ambientale del Veneto non è in vendita!





Siamo ogni giorno più allarmati e  indignati dalle sempre più frequenti  esternazioni  a mezzo stampa della Giunta Regionale veneta
sull'intenzione di vendere a privati il "cuore del Cansiglio", cioè una parte rilevante della Piana: l'Hotel S. Marco, il  campo da golf, il Rifugio  S. Osvaldo,  l'area dell'ex Caserma Bianchin.
E tutto questo viene giustificato con la scusa della crisi economica e della mancanza di risorse, ma in realtà questa vendita permetterebbe di realizzare solo una  manciata di milioni di euro, poco più di una decina. Una cifra irrilevante per il bilancio regionale ed ancora più ridicola  alla luce della notizia di questi giorni per cui è bastato un viaggio a Roma del presidente della provincia  autonoma di Bolzano Luis Durnwalder per "portarsi a casa" ben 74 milioni di euro tirati fuori dai  FAS, "Fondi per le Aree Svantaggiate" ( Bolzano area svantaggiata?).
 Dunque questo è il peso  dei politici veneti a livello nazionale?
Ma se passerà questa vendita, allora si sarà rotta una diga e, al di là delle promesse degli attuali assessori ( chi se ne ricorderà o le rispetterà  fra cinque o dieci anni?) per cui si vende "solo" questa parte, tutto il patrimonio culturale  e ambientale del Veneto sarà in pericolo.
Ora tocca  al Cansiglio, poi sarà il turno di Vallevecchia-la Brussa, della Foresta di Giazza, delle Riserve del Monte Baldo e così via.
Ma è concepibile che l'Antica Foresta del Cansiglio, uno dei luoghi principali dell'identità veneta, il Gran Bosco da Reme  della Serenissima Repubblica di Venezia, che ha resistito integro per oltre 1000 anni, un luogo sacro alla memoria della Resistenza, possa venire smembrato e venduto al miglior offerente?Tutto ciò è assolutamente inaccettabile  e degno solo di una barbarie culturale di ritorno.
Dopo la vendita, casomai avvenisse,  chi parlerà più di Area Protetta o di Cansiglio Patrimonio dell'Umanità - UNESCO?
Ma non era lo Stato centrale, cioè "Roma ladrona", che voleva vendere pezzi delle Dolomiti?
Cisono moltissime altre parti del patrimonio  veneto, sopratutto proprietà edilizie isolate o in disuso, da  mettere sul mercato per "fare cassa", mentre la vendita del cuore del Cansiglio sarebbe una perdita irrecuperabile e una ferita mortale per tutta la popolazione del Veneto e la sua identità storica e culturale, al di là degli schieramenti politici o delle differenti opinioni.
Come cittadino veneto chiedo al Presidente della Regione, alla Giunta regionale, al Consiglio regionale tutto che nessuna parte dell'Antica Foresta del Cansiglio venga venduta. Altra cosa è invece cedere in affitto, anche per un tempo lungo e comunque per finalità compatibili con l'importanza sia naturalistica che storica di questo patrimonio regionale, che quindi  è di tutti, non di pochi privilegiati.
Come cittadino veneto chiedo che la Foresta del Cansiglio venga valorizzata  attraverso la creazione di un'Area protetta  e venga  avviata la richiesta per il riconoscimento di Patrimonio Culturale dell'Umanità-UNESCO.

mercoledì 12 ottobre 2011

CONVEGNO SU VALDASTICO NORD: SOLO PER PERSONE SELEZIONATE


Riporto in seguito, per dovere di informazione, un fatto spiacevole che riguarda il convegno “Valdastico nord: infrastrutture e crescita economica”.
 
 
 Mercoledì 12 ottobre ore 12: telefono all’agenzia Meneghini &associati, che cura l’evento, per sincerarmi di poter partecipare al convegno in qualità di libero cittadino che vuole essere informato sull’opera. Specifico ai lettori che si è trattato di uno scrupolo personale, in quanto avevo già compilato e inviato con successo la scheda d’iscrizione on-line che non fissava  esplicite restrizioni circa il titolo dei partecipanti.
Con mio grande stupore l’impiegata dell’agenzia temporeggia nel darmi una risposta e, stando alla cornetta, sento che cerca numi tra i colleghi. Nello specifico, cita a bassa voce la richiesta dei promotori del convegno “di avere pubblico selezionato, non i no-global”. Mi preoccupo di spiegarle che vorrei partecipare solo a fini informativi e che non sono un no-global: niente da fare, mi richiama dopo pochi minuti con tono dispiaciuto, informandomi che la partecipazione è esclusivamente su invito.
Dopo una simile risposta confezionata al momento per liquidarmi(nel manifesto non era indicato niente di tutto ciò), sento la democrazia e la libertà di informarsi scricchiolare pesantemente. Non nascondo di essere tendenzialmente contrario all’opera, ma vorrei poter sfruttare simili occasioni di informazione per capire perché vogliono sventrare una valle vicentina(in parte al confine con un parco naturale, quello della Val d’Assa) e perché reputano l’interesse economico di pochi più importante dell’ambiente e del patrimonio paesaggistico e idrico del territorio.
Mi amareggia, peraltro, captare il desiderio di chi organizza questo convegno di farlo a porte chiuse, selezionando delle muse appigionate, calpestando gli interessi dei cittadini a cui viene preclusa persino una partecipazione tacita e pacifica.
Voglio rendere pubblica questa esperienza sgradevole per denunciare come viene portata avanti la propaganda di questa discutibile opera, facendo leva solo sugli aspetti economici e manipolando gli eventi per mostrare un’immagine di alto gradimento da parte del pubblico.

FEDERICO STAZZER 

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