mercoledì 7 marzo 2012
DALLA TAV ALLA PEDEMONTANA: LE GRANDI OPERE DISTRUGGONO IL NOSTRO TERRITORIO, FERMIAMOLE!
La lotta che da oltre vent’anni vede contrapporsi la stragrande maggioranza
degli abitanti della Valsusa al progetto della Tav non ha nulla a che vedere
con dinamiche localistiche o egoistiche. Al contrario, la mobilitazione contro
la Tav parla a tutte e tutti noi, perché quelli in conflitto sono due modelli
di sviluppo, ovvero di rapporti sociali, di relazioni con il territorio, di
programmazione e crescita economica, di cultura, di diritto e di pratica
politica, nettamente antitetici tra loro.
Per quanto riguarda le motivazioni che spingono donne e uomini di ogni età ed
estrazione sociale ad opporsi non ci soffermiamo, visto l’abbondanza di
materiale prodotto in questi anni per avvalorare le tesi di chi è contrario all’
opera. Allo stesso tempo non si può dire che i favorevoli alla Tav siano stati
in grado di motivare la loro posizione in maniera seria e precisa, se non
ricorrendo alle solite stanche litanie (il progresso, l’Europa che lo impone e
dalla quale rischieremmo di rimaner fuori, la ricchezza che si produrrebbe
etc.), che si configurano come una sorta di ideologico mantra da ripetere in
ogni occasione.
La questione della Tav assume un carattere paradigmatico, perché racchiude in
sé tutti i tratti di un modello di sviluppo onnivoro e distruttivo, che si
vuole imporre con un uso inaudito della forza e della repressione da parte
dello stato, attraverso meccanismi che esautorano le comunità locali dalle
scelte che direttamente li riguardano, arrivando a minare il concetto stesso di
democrazia. Con l’uso di mostruosità giuridiche come la legge n. 443 del 2001
(cosiddetta legge Obiettivo), dichiarando queste opere quali “strategiche e di
preminente interesse nazionale”, arrivando addirittura a schierare l’esercito
per difenderne i siti e i cantieri, si vuole imporre un modello di sviluppo
che, in tutti questi anni, è stato sinonimo di malaffare, di spesa pubblica a
vantaggio dei privati (ancor più con la pratica del project financing), di
distruzione del territorio e dei beni comuni. In buona sostanza, quindi, il
modello che ha provocato la crisi, e che qualcuno ancora oggi vorrebbe far
passare come salvifico, grazie anche all’insipienza generale dei mass media,
tutti schierati (come vediamo nella vicenda della Tav) e allineati con il verbo
dei grandi gruppi economici impegnati in questi progetti e destinatari delle
enormi risorse economiche che lo stato, e quindi tutte e tutti i cittadini
italiani, mette a loro disposizione.
Questo meccanismo perverso si registra non solo in Val di Susa ma ovunque. Che
sia una discarica come nel caso di Chiaiano, la Tav o la Pedemontana (per
tornare dalle nostre parti), la dinamica è sempre la stessa, e chi vi si oppone
è considerato alla stregua di un criminale.
Siamo invece convinti che si debba uscire da questa logica folle e
distruttiva, facendo emergere con convinzione e chiarezza la necessità di un
vero e proprio cambio di paradigma, capace di affermare che un altro modello di
sviluppo non solo è possibile, quanto necessario.
La direzione è, secondo noi, quella tracciata dalla straordinaria tornata
referendaria, dalla necessaria e non più procrastinabile affermazione del
concetto di bene comune, che confligge con la pratica predatoria e privatistica
dell’interesse particolare e della messa a valore di ciò che è collettivo e
indisponibile a questi processi fondati unicamente sull’accaparramento di
sostanziosi profitti.
Bisogna capire bene qual è la posta in gioco, e decidere da che parte stare.
Noi siamo al fianco delle donne e degli uomini della Valsusa così come ci
schieriamo con chi, nei nostri territori, è mobilitato a contrastare progetti
devastanti, come la Pedemontana o Veneto City, che della Tav assumono le stesse
caratteristiche di spreco di denaro, di distruzione di risorse, di rapina dei
beni comuni. Il problema quindi non è quello di tenere separate opere diverse
tra loro ma accomunate dalla stessa visione distorta di sviluppo, al contrario.
Proprio nella capacità di legare tra loro queste realtà può dare gli strumenti
interpretativi capaci di costruire e solidificare le diverse forme di
resistenza e di opposizione alle Grandi Opere e a tutto ciò che le sostiene.
Il prossimo 17 marzo ci sarà una grande manifestazione a Montecchio Maggiore
contro l’autostrada Pedemontana, altra grande opera distruttiva che non ha
nulla da invidiare rispetto alle altre, e riteniamo fondamentale far emergere
all’interno di quella manifestazione un chiaro messaggio di opposizione non
solo a quel devastante progetto, quanto alla logica che lo sottende e lo
vorrebbe imporre, che è uguale a quanto vorrebbero fare in Val di Susa.
Per questo proponiamo non solo di partecipare in tante e tanti, ma anche di
caratterizzare la nostra presenza con un messaggio chiaro: No alle Grandi
Opere, no alla distruzione dei beni comuni, no alla repressione dei movimenti,
perchè il diverso mondo possibile al quale tutti aspiriamo si fonda su un
modello di sviluppo opposto, rispettoso dell’ambiente, fondato sulla democrazia
e sulla partecipazione, sulla piena agibilità dei movimenti.
A Montecchio Maggiore, nel rispetto della convocazione lanciata dai promotori,
porteremo questo contributo, e se saremo in tanti a farlo sarà utile a tutti,
da Montecchio alla Val di Susa.
Presidio No Dal Molin
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