domenica 9 ottobre 2011

EMERGENZA ABITATIVA A BASSANO

Le scelte di bilancio dell'amministrazione penalizzano le "vite di scarto". Ne è convinto il Sunia
Di Sunia - sede di Bassano del Grappa






Nulla più del bilancio consuntivo consente di giudicare quello che una amministrazione locale ha fatto. C'é l'interrogazione che i poveri (circa 1/3, le "vite di scarto" é stato detto) rivolgono alla parte benestante o opulenta della nostra società (circa i 2/3) secondo la celebre ripartizione del sociologo tedesco Peter Glotz.

Questa realtà esiste anche a Bassano specie per la questione casa e l'attuale situazione di recessione usura i riferimenti ai tradizionali punti di appoggio: lavoro, economia che gira, assenza di cause per possibili conflitti sociali, ecc.
Il bilancio comunale di Bassano è un documento arido ma ricco di idee, raramente da noi condivisibili. E in futuro lo esamineremo per tutti su queste pagine sperando che si apra una discussione al riguardo. Certo, il governo ha ridotto i trasferimenti ai comuni, che però hanno acquisito una capacità di imposizione che prima non avevano. Ma il problema vero é un altro: non si possono fare spese voluttuarie, per gli spettacoli, per il tempo libero e poi lamentarci che per la casa non ci sono soldi. Non si tratta cioè di una questione solo contabile ma di scelta di dove e per chi spendere. Nel dicembre 2010 abbiamo depositato una documento con analisi e proposte, che la maggioranza consiliare ha disattese perché nelle delibere approvate non c'é letteralmente un euro per dare una casa agli sfrattati.
Una proposta di soluzioni
Quando chiamiamo il comune di Bassano ad operare non ci limitiamo alle parole. Al sindaco, poco dopo la sua elezione, questo inizio estate alla assessora Breda abbiamo fatto delle proposte praticabili, purché si superi l'arruolamento fra le file dei 2/3.
1) La L.R. 10/96, all'art. 11, attribuisce ai comuni la possibilità di assegnare direttamente il 15% delle abitazioni che l'Ater si appresta ad assegnare. La norma prevede di innalzare questa percentuale chiedendo l'autorizzazione alla Regione.
2) Il comune aveva sessanta alloggi sfitti in proprietà. Invece di curarne la manutenzione stipulando, ad esempio un mutuo in conto capitale, l'attuale amministrazione ha deciso di venderli tutti. Tale situazione di omessa manutenzione che ha causato un grave danno al patrimonio comunale si é prodotta in questi ultimi anni. Con questa scelta politica la maggioranza comunale di Bassano si é preclusa la possibilità di offrire agli sfrattati una soluzione abitativa, cioè umana.
3) Il comune può locare alloggi sul mercato libero od a canone concordato e sub-locarli ad affitto adeguato al reddito famigliare degli sfrattati. Anche qui si obietta che mancano i soldi
Dove trovare i fondi
La L. 431/98, all'art.2, comma quattro, prevede, per gli alloggi sfitti da almeno due anni, la possibilità per i comuni di portare l'aliquota ICI dal 7 per mille di quella ordinaria al 9 per mille. Da almeno quattro anni facciamo invano questa richiesta/proposta, prima al centro destra ora al centro sinistra. Nulla da fare, si obietta, per la mancanza dei dati (indirizzo e proprietario degli alloggi sfitti). Difficile farsi ascoltare da chi non vuol sentire. Per questo é stata lasciata cadere la nostra proposta di acquisire tramite l'Etra, gestore dell'acquedotto, i dati circa la quantità di acqua utilizzata nelle varie abitazioni: se in un appartamento si registra, ad esempio, un consumo di una decina di metri cubi di acqua all'anno é ragionevole che esso non sia abitato. Trattandosi di utenze l'Etra ha l'indirizzo completo, compreso il piano, ed il nome del proprietario. Perchè l'amministrazione non l'ha "utilizzata"? Quanti soldi ha perduto? Gli amministratori ora, finalmente, affermano che si stanno muovendo nel senso chiesto dal SUNIA. Però vedremo se l'applicazione sarà rigorosa o se ci saranno "eccezioni" per i soliti noti.
Per le persone in difficoltà economica il comune prevede varie elemosine e provvidenze. Tutte cose meritorie, da mantenere, che si inseriscono nel tradizionale intervento dei poteri pubblici dalla legge Crispi (1890) in poi. Certo, il comune di Bassano é moderno, però in questa parte del suo bilancio consuntivo 2009 si sente odore di un secolo fa e molto si potrebbe fare di diverso, come abbiamo proposto e come spiegheremo la prossima volta, perché gli spazi, come le case, non sono sufficienti (anche se non possiamo non ringraziare BassanoPiù di darci questa grande opportunità di informazione).
Con le cifre alla mano, quindi, si può sostenere che l'attuale amministrazione avrebbe avuto, invece, gli spazi finanziari per accentuare nel corrente anno la giustizia sociale e l' umana solidarietà verso le famiglie povere, sfrattate. Per far questo avrebbe dovuto "deludere"alcuni degli "amici" e degli "amici degli amici" della società bassanese dei 2/3. Però bisogna aver sempre presente che dietro a ogni sfratto ci sono spesso gli occhi vispi ma impauriti di un bambino, quelli ansiosi di un padre e di una madre, quelli stanchi e rassegnati al peggio di una persona anziana.
Non far entrare questa problematica nel bilancio comunale é segno di indurimento delle coscienze e di caduta delle sensibilità umane. Lo diciamo anche ai due terzi dei bassanesi.

Vicenza Più 9 ottobre 2011

sabato 8 ottobre 2011

UNITI PER L'ALTERNATIVA - ROMA 15 OTTOBRE







Il 15 ottobre è la giornata degli indignados in tutta Europa. In Italia, una grande manifestazione attraverserà le strade di Roma. Da Vicenza organizzati diversi pullman: 
- SCHIO ore 5.00 di sabato c/o csa arcadia via lago di tovel 
- VALDAGNO ore 5.00 stazione delle corriere 
- MONTECCHIO M. ore 5.00 p.zza san paolo 
- VICENZA ore 5.30 parcheggio della valbruna
rientro in nottata di domenica

PER INFO E ADESIONI:
presidio3349000595
bocciodromo 3491858949
arcadia 3287445166
mesa 3453412916

prezzi: studenti o disoccupati 15 euro, lavoratori 25 euro

DOCUMENTO FINALE DELL’ASSEMBLEA DEL 24 SETTEMBRE 2011 DI ROMA - UNITI PER L’ALTERNATIVA

TINA, "There Is No Alternative" (come diceva la Thatcher negli anni ’80), "non c’è alternativa": questa sembra essere la logica autoritaria che le élite finanziarie e la BCE impongono all’agenda di tutti i governi europei, di centrodestra e di centrosinistra. Non c’è alternativa – questo ci dicono - alle politiche di austerity per uscire dalla crisi. È ormai sotto gli occhi di tutti l’incapacità dei governi europei, di fatto commissariati, di proporre soluzioni diverse dalle solite ricette neoliberiste: tagli, austerity, privatizzazioni, aumento del tasso di sfruttamento.
La crisi economica globale ha subito negli ultimi mesi una nuova violenta accelerazione, le cui conseguenze sono scaricate sulla vita degli uomini e delle donne. Ci troviamo oggi a pagare la crisi due volte: l’esplosione della bolla del capitalismo finanziario, per salvare le banche, è stata scaricata sui bilanci pubblici, e ora gli stessi attori finanziari transanazionali puntano il dito contro il debito pubblico così generato, lanciano attacchi speculativi e chiedono nuove misure di austerity per ridurre il debito e rendere meno rischiosi gli investimenti. In altre parole: prima ci fanno pagare la crisi, poi la sua presunta soluzione.
L’economia della crisi mette dunque in ostaggio la politica, impedendo di fatto l’esercizio di qualsiasi residua forma di sovranità popolare, definitivamente soffocata dai dogmi della governabilità e del pareggio di bilancio. Ripagare il debito e raggiungere forzatamente il pareggio di bilancio, addirittura formalizzandolo nelle costituzioni nazionali, diventa la priorità assoluta per chi governa la crisi.
Qualsiasi progetto di alternativa richiede come condizione preliminare la rottura di questo quadro di compatibilità e, di conseguenza, non può che partire dal rifiuto radicale della logica del pagamento del debito a ogni costo e del pareggio di bilancio.
I piani su cui la situazione impone di muoversi sono molteplici: nessuna iniziativa può prescidere da una proiezione immediata sullo spazio europeo. Le vicende di queste settimane ci dicono che quelle del governo italiano sono variazioni, per quanto regressive, su un tema che è composto altrove. Ciò che diciamo da anni sullo svuotamento dei palazzi del potere e sulla crisi della sovranità e della democrazia rappresentativa, è ormai sotto gli occhi di tutti, e un cambio di governo, magari in direzione tecnocratica, non comporta necessariamente un cambiamento reale. In questo contesto, non sappiamo più cosa farcene delle politiche dell’alternanza, dato che le decisioni sono prese altrove, a prescindere dal governo che scegliamo e dal suo colore politico.
Una radicale inversione di tendenza è necessaria. A 10 anni da Genova e dopo la straordinaria stagione di lotte dell’ultimo anno, i movimenti sociali hanno la responsabilità di rilanciare la propria azione in un campo più vasto, oltrepassando i limiti della resistenza e della testimonianza. C’è bisogno di un processo aperto, inclusivo e non burocratico, in grado di rendere ognuno protagonista e responsabile del comune percorso di resistenza e costruzione dell’alternativa.
Le mobilitazioni dell’ultimo anno hanno dimostrato di saper immaginare il conflitto come pratica immediatamente costituente, come terreno di riappropriazione della decisione democratica, al di fuori da ogni nesso di delega e rappresentanza. La vittoria referendaria di giugno dimostra la capacità dei movimenti di riappropriarsi degli spazi politici e giuridici della decisione. Allo stesso modo, le esperienze dell’ex Cinema Palazzo occupato e del Teatro Valle occupato, rappresentano delle sperimentazioni politiche concrete di costruzione di istituzione del comune.
«Uniti per l’alternativa» si configura quindi come spazio pubblico di condivisione di tutti i soggetti sociali e politici disposti a mettersi in gioco in questo processo, come motore di mobilitazione, inclusivo e non autosufficiente, e come luogo di costruzione di un’alternativa reale, basata su contenuti radicali e non incasellabile nelle gabbie della rappresentanza e del governo dell’austerity.
Il 15 ottobre può e deve essere il primo passo di questo duplice percorso: sul piano internazionale, è l’occasione per mettere in campo, dietro lo slogan«United for global change», una mobilitazione continentale e globale per una nuova idea di società, basata sulla giustizia sociale ed ambientale e la democrazia reale; rispetto al contesato italiano, rappresenta l’occasione, non solo per sfiduciare dal basso il Governo Berlusconi, ma anche lo spazio costituente per ogni alternativa politica. I contenuti del 15 ottobre, frutto delle mobilitazioni dei soggetti sociali, rappresentano la piattaforma per il cambiamento che vogliamo, la proposta che gli uomini e le donne di questo paese, i movimenti, i soggetti sociali in mobilitazione avanzano all’intera società.
Cogliamo positivamente le sollecitazioni e le proposte di confronto sul piano dell’alternativa, avanzate dagli amministratori locali presenti all’assemblea. Rilanciamo l’assemblea nazionale dei lavoratori e delle lavoratrici dello spettacolo e della cultura che si terrà il 30 al Teatro Valle Occupato. In vista del 15 ottobre proponiamo alle reti sociali di mettere in campo iniziative, azioni, vertenze, che consentano di moltiplicare la partecipazione al corteo.
Di questo percorso fa parte la battaglia della FIOM per la riconquista del contratto nazionale, per la sua generalizzazione e per la cancellazione dell’articolo 8 della manovra finanziaria. Occorre combattere la precarizzazione del lavoro, conquistare l’universalità e l’uguaglianza dei diritti e costruire concretamente un nuovo welfare. Riappropriarci del reddito come si occupavano le terre contro i latifondisti: la ridistribuzione della ricchezza sociale è oggi lotta contro chi produce rendita sulle nostre vite.
La nostra alternativa parte dai beni comuni, per la costruzione di un nuovo modello sociale, attraverso la gestione democratica del territorio, la riconversione ecologica della produzione, la democrazia energetica, la costruzione di un’altra scuola, di un’altra università, di un’altra ricerca, universalmente accessibili e in grado di contribuire alla svolta democratica, sociale ed ecologica di cui abbiamo bisogno. Rompere il quadro delle compatibilità, rovesciare i rapporti di forza, produrre un cambiamento reale. Questa è la nostra battaglia, questo è il percorso dell’alternativa, per una stagione di lotte che sia costituente di una nuova pratica democratica e sociale.

venerdì 7 ottobre 2011

mercoledì 5 ottobre 2011

TAGLI AL TRASPORTO PUBBLICO E FINANZIAMENTI PER IL TRASPORTO SU GOMMA


I problemi che si sono avuti in questi ultimi giorni nella linea ferroviaria Bassano Padova e nella linea Bassano Trento, che stati anche denunciati sulla stampa locale, è il risultato delle politiche di tagli ai trasporti pubblici che anche in Veneto stanno creando molti problemi.

Però per quanto riguarda strade e autostrade i soldi arrivano a palate.








Interessante al riguardo il  rapporto Pendolaria 2010 di Legambiente

“Con i tagli operati dal Governo ai treni pendolari, un treno ogni tre rischia di essere cancellato – ha dichiarato Edoardo Zanchini, responsabile Trasporti di Legambiente -. Dal 13 dicembre, con il nuovo orario invernale, si apre una stagione drammatica per i pendolari italiani, destinata, in assenza di nuovi provvedimenti, a peggiorare a causa dei tagli ancora più drastici che le Regioni saranno costrette ad operare. La Legge di Bilancio non ha risolto nulla in tal senso, anzi, ha certificato che per il 2011 mancano ben 800 milioni di Euro, pari al 45% delle risorse in meno rispetto allo scorso anno, mentre dal 2012 queste si ridurranno ancora”. Con la Manovra di luglio infatti, sono stati cancellati ben 1.224 milioni di Euro di trasferimenti alle Regioni per le spese relative al servizio di trasporto ferroviario regionale, mentre dalla Manovra approvata la scorsa settimana dalla Camera sono previste risorse pari a 425 milioni per l’acquisto di treni pendolari. La beffa è che i soldi per l’acquisto dei nuovi treni verranno utilizzati dalle Regioni per “salvare” la circolazione di quelli esistenti. Quindi, comunque, meno treni e le solite vecchie carrozze.
In questa situazione appare incredibile il completo silenzio da parte del Ministro dei Trasporti Altero Matteoli che, al contrario, quando si tratta di difendere nuove strade, si batte come un leone attraverso dichiarazioni pubbliche e annunci di nuovi cantieri, mentre sui treni pendolari tace e scarica i tagli sulle Regioni. Il vergognoso squilibrio delle risorse a favore della gomma, infatti, si ripete anche quest’anno. Basti dire che la Legge di Bilancio regala 400 milioni di Euro all’autotrasporto, e che nel 2011 sono previsti dal Governo investimenti complessivi per 1.230 milioni di Euro per nuove strade e autostrade, tra Legge Obiettivo e Expo di Milano.
“Non è possibile pensare di poter abbandonare i pendolari in questa situazione e le città a soccombere tra traffico e inquinamento - ha continuato Zanchini -. Occorre intervenire affinché nel passaggio della Legge di Bilancio al Senato si possa ripristinare una situazione di normalità. Bisogna individuare subito le risorse per l’acquisto dei nuovi treni e ristabilire il sistema di finanziamento del servizio attraverso l’accisa sul gasolio”. L’errore e l’incredibile irresponsabilità da parte del Governo - secondo Legambiente – sta, infatti, nell’aver tagliato le risorse e contemporaneamente aver soppresso la norma contenuta nella Finanziaria 2008, che consentiva alle Regioni, a partire dal 2011, di trattenere una quota dell’accisa sul gasolio per il servizio ferroviario regionale.
Ma quali sono le più probabili conseguenze per i pendolari italiani? La prima certezza è l’aumento del prezzo dei biglietti, clausola obbligatoria fissata dalla Legge di Bilancio, comunque assolutamente insufficiente. La seconda sono i tagli, che potranno variare a seconda delle risorse che le Regioni riusciranno a togliere ad altri capitoli di spesa, con una dimensione che varia tra il 10 e il 30% dei treni da cancellare e che si comincerà in parte a vedere già con l’orario che scatterà il 13 dicembre.
Per evidenziare il futuro impatto di queste scelte Legambiente ha voluto illustrare la situazione di alcune linee ferroviarie delle principali città italiane.
I monitoraggi sono stati effettuati in tutto il territorio Italiano, e quasi ovunque sono emerse analoghe criticità legate a ritardi, sovraffollamento, convogli degradati, improvvise soppressioni dei convogli e in moltissime stazioni minori l’impossibilità di acquistare il biglietto per l’assenza dei distributori automatici.
In sintesi i dati più critici giungono dal Lazio, precisamente dalla linea Nettuno-Roma dove la rete e il numero di mezzi non corrispondono minimamente  alla domanda dei pendolari in termini di capienza. In Piemonte nella tratta Cuneo-Torino i pendolari lamentano la costante mancanza di carrozze sufficienti e spesso i convogli sono sporchi e degradati, e nella linea Aosta-Ivrea-Torino,  poiché i treni, dal 12 dicembre, i treni diesel (unici circolanti) non potranno più entrare nella stazione sotterranea di Torino Porta Susa, costringendo i passeggeri ad effettuare un cambio. Nelle Marche il monitoraggio è stato effettuato sulla S.Benedetto del Tronto-Ancona per evidenziare la necessità di una metropolitana di superficie che colleghi le città costiere marchigiane. In Liguria la linea monitorata è la Acqui Terme-Ovada-Genova, tratta lunga solo 63 km di cui ben 46 a binario unico, con un tempo di percorrenza tra i 70 e gli 88 minuti e una velocità che varia dai 42 ai 54 km/h. In Emilia-Romagna sulla tratta Rimini-Bologna in tre giorni di monitoraggio (dalle ore 7 alle 9:30), effettuato su 29 treni, ben 16 (oltre il 55%) sono risultati inaccessibili per sovraffollamento. Tra questi, 4 treni presentavano almeno 2 carrozze chiuse con  ulteriori problemi di capienza del convoglio. In Puglia la Foggia-Trani-Bari soffre di croniche insufficienze di posti a sedere, con il 40% dei viaggiatori che rimane in piedi nella fascia oraria 8 - 8:30.
Anche la Sicilia presenta situazioni di grave disagio, in particolare sulla tratta Agrigento-Palermo dove la soppressione dei treni è un fenomeno purtroppo frequente e la sostituzione del servizio con autobus, spesso per l’intero tratto, produce non pochi problemi di orario e di capienza
Larea  Veneta è una di quelle in cui sarebbe più importante ragionare in termini nuovi di trasporto pendolare per la fortissima mobilità tra i diversi centri. Purtroppo il progetto presentato oramai da diversi anni di creare un Sistema Ferroviario Metropolitano Regionale (SMFR) previsto sia dal Piano Regionale di Sviluppo che dal Piano Territoriale Regionale di Coordinamento verso i principali poli del “sistema metropolitano centro-veneto”, con treni ad alta frequentazione tra le città e i centri posti nel quadrilatero Treviso, Venezia, Padova, Castelfranco Veneto è in rilevante ritardo; ma il  lungimirante concetto di arrivare ad un cadenzamento regolare e frequente dei passaggi dei treni, con al tempo stesso un collegamento multi direzionale che si dipana dai nodi, dovrebbe essere una priorità.
Tra le peggiori linee frequentate dai pendolari della nostra regione si rivela la Calalzo – Padova, con costanti disservizi, treni in ritardo ed in alcuni casi soppressioni improvvise dei convogli senza un’adeguata assistenza e informazione ai viaggiatori, con una situazione pesante anche sul fronte della pulizia.
Per lo snodo veronese il monitoraggio si è concentrato sulla tratta Verona – Rovigo gestita da Rete Ferroviaria Italiana (RFI) per la quale si denunciano oltre all’uso obsoleto di treni a vagone unico a diesel, gravi mancanze sui servizi a terra. Un esempio è la stazione di Bovolone che da anni vive una situazione di totale abbandono nella quale mancano gli indispensabili servizi di biglietteria, la sala d’attesa e i parcheggi di interscambio. È purtroppo la situazione di molte stazioni minori della provincia che, per la scarsa attenzione e le poche risorse messe a disposizione, sono destinate ad un ancora maggiore degrado se non a scomparire definitivamente.
In controtendenza rispetto alla maggior parte delle linee nazionali monitorate la Verona-Rovigo non  ha presentato particolari situazioni di sovraffollamento, nonostante i limitatissimi posti disponibili.
È questa una condizione che deve far riflettere. La scarsa frequenza, i pochi treni disponibili negli orari di punta, l’incertezza negli orari degli arrivi e delle partenze, le linee più frequentabili ancora  a binario unico e  la mancanza di un interscambio efficiente ed efficace con il servizio urbano presso la stazione di Porta Nuova costringono evidentemente i pendolari a spostarsi con mezzi propri.
Va inoltre denunciata la scarsa e datata analisi sui flussi di traffico pendolare disponibile, e la conseguente difficoltà a valutare le reali esigenze dei cittadini che quotidianamente si spostano per  studio o per lavoro dal centro alla periferia o viceversa.
“Siamo convinti che investire sul trasporto ferroviario pendolare sia una ricetta che fa bene alle città, al portafoglio delle famiglie, alla qualità della vita e all’aria che respiriamo”- dichiara Lorenzo Albi presidente di Legambiente di Verona – e che affiancare servizi urbani con corsie preferenziali e con frequenza costante sia l’unica alternativa per  affrontare correttamente le molte criticità della nostra provincia, quali la qualità dell’aria e la costante congestione nelle ore di punta della viabilità ordinaria.

lunedì 3 ottobre 2011

PENSARE LA DECRESCITA

 Riflessioni su progresso e sviluppo Rosà, 14-15-16 Ottobre 2011

 Evento inserito nel programma “Verso Venezia 2012: IIIa Conferenza Internazionale su decrescita, sostenibilità ecologica, ed equità sociale. Venezia 19-23 settembre 2012”


Venerdì 14 Ottobre ore 21.00 Anfiteatro Athena – presso il Palazzetto dello Sport di Rosà

Concerto di gruppi emergenti con:
Skacco Matto (ska)
Figli di un temporale (cover di F. de Andrè)
Il brodo oltre la siepe (rock acustico)
Super Hofmann (pop rock)
In caso di maltempo il concerto avrà luogo all’interno del Palarosà (ingresso libero)

Sabato 15 Ottobre ore 15.00 Aula Magna Scuola Media Statale di Rosà

Convegno “Benessere senza crescita: utopia o necessità?”
Interventi di:
Paolo Cacciari, Movimento per la decrescita – Riflessioni sull’idea di decrescita
Carlo Costantini, AltroVEneto – La pianificazione territoriale nel Veneto
Claudio Pellanda, KlimArk –
Stefano Peloso, Transition Italia – L’esperienza delle città in transizione
Riccardo Milano, Banca Etica -


Domenica 16 Ottobre dalle ore 9.00 Piazza Card. Baggio – Rosà

Le buone pratiche: stand e laboratori di pratiche sostenibili
Gas Rosà
Grappalug – gruppo utenti Gnu/Linux Bassano
Commercio equo e solidale
Editoria Tematica
Autoproduzione formaggi, yogurt, birra, detersivi…
Pizze con forno a legna autocostruito
Case efficienti – laboratorio con KlimArk
Bigiotteria con materiali riciclati

In caso di maltempo la manifestazione avrà luogo all’interno del Tempio dei giovani


Per informazioni: 3493755621

venerdì 30 settembre 2011

PROVINCIA DI VICENZA IN DEBITO CON I PROPRIETARI DEI FONDI IN USO ALLA CACCIA

L.A.C. E C.P.V. METTONO A DISPOSIZIONE I PROPRI LEGALI PER UNA CLASS ACTION A FAVORE DEGLI AGRICOLTORI E DEI PROPRIETARI TERRIERI.





COMUNICATO STAMPA


I proprietari di terreni Vicentini ove si svolge la caccia vantano un credito nei confronti della provincia di € 17.500.000 solo per il 2011. La Regione Veneto, infatti, non ha mai dato attuazione all’art. 15 della legge nazionale n.157 del 1992 sulla disciplina della caccia secondo cui è “dovuto ai proprietari o conduttori un contributo da determinarsi a cura della amministrazione regionale in relazione alla estensione, alle condizioni agronomiche, alle misure dirette alla tutela e alla valorizzazione dell’ambiente” ; una spesa a cui si deve far fronte con la tassa di concessione venatoria regionale

La successiva legge regionale 50 del 1993, specifica all’articolo 27 : “Le Province sono delegate ad erogare, sulla base dei criteri di cui alla lettera e), comma 6, dell'articolo 8, un contributo ai proprietari o conduttori dei fondi rustici inclusi nel piano faunistico venatorio regionale ai fini della gestione programmata della caccia”.
Se si considera un indennità medio-bassa di euro 70 all’anno per ettaro pari a 0,007 al mq, tariffa inferiore a quelle utilizzate per le aziende venatorie, moltiplicata per gli ettari ove sui svolge la caccia ( 250.000 ), si scopre che la provincia di Vicenza  avrebbe dovuto pagare ai proprietari dei terreni – per l’anno 2011 – ben  17.5 milioni di euro.
Se si considera ancora, che nulla è stato pagato, gli arretrati di 10 anni ammontano a oltre 175 milioni, più interessi, solo per il Vicentino.

La LAC e CPV hanno incaricato i propri legali di patrocinare in un fronte comune tutti i proprietari e conduttori dei fondi rurali dove si svolge la caccia, che dovessero reclamare il canone 2011 non corrisposto, gli anni arretrati e i relativi interessi, per una class-action civile nell’interesse di proprietari e conduttori di terreni contro tutte le Regioni per ottenere il pagamento del “canone venatorio” per il 2011 e per 10 anni arretrati.

Per fare richiesta di Rimborso, il Coordinamento protezionista ha messo a disposizione un indirizzo, mailto: venetorimborsoterreni@yahoo.it  info 347 9344789.

Nall’argomento, è intervenuto il portavoce del CPV Renzo Rizzi dichiarando : In pratica, la provincia di Vicenza alla quale la regione Veneto rimborsa l’ottanta per cento della tassa regionale che versano i cacciatori, per legge dovrebbe corrispondere una quota annua ai proprietari dei terreni utilizzati dai cacciatori, istituire l’ormai famoso quanto fantomatico ( per Vicenza ) centro di recupero fauna selvatica, effettuare ripristini ambientali, incentivare colture a perdere  per aiutare la fauna selvatica nel periodo invernale. In realtà buona parte di questi fondi vengono utilizzati per attività deviate a servizio della caccia, non ultimo, la vergogna del “lancio” di centinaia di migliaia di animali pronta caccia, che rendono questo hobby feroce, ancora più povero e incomprensibile.

LAC e CPV, chiedono la immediata sospensione di ogni attività venatoria fintanto che non saranno
corrisposte a proprietari e conduttori dei fondi agro-silvo-pastorali le somme dovute per legge.

martedì 27 settembre 2011

CENTRALI A BIOGAS A BORSO E A SCHIAVON: ECCO TUTTO QUELLO CHE BISOGNA SAPERE

A Borso del Grappa e a Schiavon ci sono progetti per la costruzione di centrali a biogas. Ma cosa sono in realtà. Ecco un interessante articolo di Carlo Petrini a riguardo.





Agricoltura industriale. Riflettiamo sull' ossimoro. In suo nome, l' uomo ha pensato di poter produrre il cibo senza contadini, finendo con l' estrometterli dalle campagne. Oggi siamo addirittura arrivati all' idea che possano esserci campi coltivati senza produrre alimenti: agricoltura senza cibo. Agricoltura che, se si basa soltanto sul profitto e sulle speculazioni, riesce a rendere cattivo tutto ciò che può essere buono: il cibo, i terreni fertili (che sono sempre meno), ma anche l' energia pulita e rinnovabile. Come il fotovoltaico, come il biogas.
Si è già parlato di come l' energia fotovoltaica possa diventare una macchina mangia-terreni e mangia-cibo. Se i pannelli fotovoltaici sono posati direttamente a terra e per grandi estensioni essi tolgono spazi alla produzione alimentaree desertificano i suoli fino a renderli inservibili. Allora bisogna dirlo chiaro: sì al fotovoltaico, ma sui tetti, nelle cave dismesse, lungo le strade. No a quello sul terreno libero.
Adesso poi è il momento delle centrali a biogas che sfruttano le biomasse, valea dire liquami zootecnici, sfalci e altri vegetali. Questi materiali si mettono in un digestore, qui si genera gas che serve a produrre energia elettrica e ciò che avanza – il "digestato" adeguatamente trattato poi può essere utilizzato come ammendante per i terreni.
Questi impianti sarebbero ideali per smaltire liquami (problema annoso di chi fa allevamento) e altri rifiuti biologici, integrando il reddito con una produzione di energia che può essere utilizzata in azienda o venduta. Se sono piccoli o ben calibrati rispetto al sistema chiuso dell' azienda agricola funzionano e sono una benedizione – esattamente come può fare il fotovoltaico sul tetto di un capannone o di una stalla. Ma se c' è di mezzo il business, se si fanno sotto gli investitori che fiutano affari e a cui non importa che l' agricoltura produca cibo e che lo faccia bene, allora il biogas può diventare una maledizione.
Sta già succedendo in molte zone della Pianura Padana, soprattutto laddove ci sono forti concentrazioni di allevamenti intensivi. È una cosa che stanno denunciando alcune associazioni ambientaliste a livello localee per esempio da Slow Food Cremona mi segnalano che nella loro provincia ormai la situazione è sfuggita al controllo. Tant' è vero che hanno chiesto alla Provincia una moratoria sull' installazione e autorizzazione di nuove centrali a biogas.
Che succede? Molti agricoltori, stremati dalla crisi generalizzata del settore, si trasformano in produttori di energia, smettendo di fare cibo. In pratica, si limitano a coltivare mais in maniera intensiva per farlo "digerire" dagli impianti a biogas. C' è anche chi lo fa solo in parte, ma sta di fatto che tutto quel mais non sarà mangiato dagli animali e quindi indirettamente neanche dagli umani. Gli investitori li aiutano, a volte li sfruttano. Esistono soccide in cui gli agricoltori sono pagati da chi ha costruito l' impianto per coltivare mais: sono diventati degli operai del settore energia, altro che contadini.
Tutto è cominciato nel 2008 con la finanziaria che prevedeva un nuovo certificato verde "agricolo" per la produzione di energia elettrica con impianti di biogas alimentati da biomasse. Impianti "piccoli", di potenza elettrica non superiore a 1 Megawatt. Ma 1 Mw è tanto: ciò ha incentivato il business, perché a chi produce viene riconosciuta una tariffa di 28 cent/kWh, circa tre volte quanto si paga per l' energia prodotta "normalmente".
Ecco allora che il sistema degli incentivi, cui si uniscono quelli europei per la produzione di mais, ha fatto sì che convenga costruire impianti grandie costosi (anche4 milioni di Euro), che possono essere ammortizzati in pochi anni. Soltanto nel cremonese nel 2007 c' erano 5 impianti autorizzati, oggi sono 130.E lì oggi si stima che il 25% delle terre coltivate sia a mais per biogas. In tutta la Lombardia si prevede che entro il 2013 dovrebbero esserci 500 impianti.
Ci sarebbe da riflettere su quante volte un cittadino che versa anche le tasse arrivi a pagare quest' energia "pulita", ma l' emergenza è di altro tipo: così si minacciano l' ambiente e l' agricoltura stessa. Primo e lapalissiano: si smette di produrre cibo per produrre energia. Secondo: la monocoltura intensiva del mais è deleteria per i terreni perché deve fare largo uso di concimi chimici e consuma tantissima acqua, prelevata da falde acquifere sempre più povere e inquinate. Senza rotazioni sui terreni si compromette la loro fertilità e si favorisce la diffusione di parassiti come la diabrotica, da eliminare con un' ulteriore aggiunta di antiparassitari. Se il mais non è per uso alimentare, poi, sarà più facile mettere due dosi di tutto invece di una, senza farsi tanti scrupoli.
Terzo: chi produce energia coltivando mais può permettersi di pagare affitti dei terreni molto più alti, anche fino a 1500 euro per ettaro, il che crea una concorrenza sleale nei confronti di chi invece ne ha bisogno per l' allevamento. È lo stesso fenomeno che si è creato con i parchi fotovoltaici, dunque sta piovendo sul bagnato. A chi alleva servono terreni soprattutto per rientrare nella "direttiva nitrati", che dovrebbe regolare lo smaltimento dei liquami in maniera sostenibile. Chiedete ai contadini e agli allevatori: i terreni non sono mai stati così costosi come oggi, e per un' azienda che già subisce i danni di un mercato drogato da speculazioni e imposizioni di prezzi bassi da parte del sistema distributivo può voler dire soltanto una cosa, la chiusura. Ma andiamo avanti.
Quarto: gli impianti stessi, quelli da1 Mw, sono grandi strutture e per costruirle si consuma terreno agricolo sacrificandolo per sempre. Quinto: ci sono già le prime voci sulla nascita di un mercato nero di rifiuti biologici, come gli scarti dei macelli, venduti illegalmente per fare biogas. Non andrebbero mai utilizzati come biomasse, perché ciò che avanza dalla "digestione" poi viene sparso per i campi come ammendantee in questi casi oltre a inquinare potrebbe anche diffondere malattie. Il problema è la scala.
Diciamo chiaramente che in sé il biogas da biomasse non avrebbe nessun difetto. Ma se è realizzato a fini speculativi ed è sovradimensionato, se fa produrre mais al solo scopo di metterlo nell' impianto, se fa alzare i prezzi del terreno, lo consuma e lo inquina, allora bisogna dire no, forte e chiaro. Da questo punto di vista sarà bene che le amministrazioni (comunali per impianti piccoli, provinciali per quelli più grandi) comincino a valutare i fini reali degli impianti prima di concedere autorizzazioni, e sicuramente questi problemi andranno affrontati e debellati con la nuova PAC, la politica agricola comune, che si è iniziata a discutere a Bruxelles.
Da un punto di vista umano capisco gli agricoltori che hanno intravisto con il biogas un modo per risalire la china di un' agricoltura industriale sempre più in crisi. Ma sono sicuro che ci sono altri modi di fare agricoltura, più puliti, diversificati, che puntano alla vera qualità. Questa agricoltura può essere molto remunerativa e dare futuro ai giovani, mentre è soprattutto quella di stampo industriale che sta collassando. Inoltre, prima o poi gli incentivi finiranno.
Il biogas con grandi impianti è una pezza sporca che alcuni stanno mettendo alla nostra agricoltura malata, ottenendo l' effetto di darle così il colpo di grazia. Sarà molto difficile tornare indietro: i terreni fertili non si recuperano, le falde s' inquinano, la salubrità sparisce, chi fa buona agricoltura è costretto a smettere a causa di una concorrenza spietata e insostenibile. Agricoltura industriale, che ossimoro.
Carlo Petrini

Fonte: La Repubblica

martedì 20 settembre 2011

IL PROCESSO TRICOM E LA VERGOGNOSA SENTENZA


COMUNICATO del Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio di Tezze sul Brenta e Bassano del Grappa






Sono state rese pubbliche le motivazioni della sentenza (giudice Deborah De Stefano) che ha assolto, il 24 maggio scorso, “al di là di ogni ragionevole dubbio”, titolari e dirigenti della Tricom Galvanica PM di Tezze sul Brenta per la morte di 7 lavoratori per malattia professionale.
Un lavoro articolato, volutamente puntiglioso, costruito  con la volontà di ricercare sentenze, tesi scientifiche tutte a vantaggio dei padroni. La sensazione, a momenti, è che siano i lavoratori morti o ammalati, gli imputati di questo processo.

   La Tricom, descritta in poche pagine iniziali, come un ambiente di lavoro infernale, in cui si lavorava tra fumi, fanghi ed esalazioni di cromo, nickel ed altri acidi, passa successivamente e rapidamente in secondo piano, sostituita dalle abitudini di vita dei lavoratori.
Il testo si sposta quindi sull’uso del tabacco. Si vagliano accuratamente le dichiarazioni di lavoratori e famigliari sul numero di sigarette fumate da chi è deceduto o si è ammalato.
Si continua indagando sulle famiglie, su casi di mortalità per neoplasie nell’ambito familiare. I colpevoli della propria morte diventano i lavoratori stessi.
   Niente emerge sull’attività, la vita e la condotta degli imputati.

Ecco che il  cromo esavalente, riconosciuto sì cancerogeno, diventa in alcuni casi quasi salutare; non ci sono soglie che definiscano quando l’esposizione a queste sostanze diventa pericolosa. Le conclusioni sono che questi lavoratori morti o ammalati sono colpevoli di aver fumato, di aver avuto dei famigliari deceduti per neoplasie e per ultimo di essere stati esposti alle sostanze nocive; ma non abbastanza da giustificare un verdetto di giustizia nei loro confronti. E’ negata ogni ipotesi di concausa tra il fumo di sigaretta e le esalazioni delle sostanze tossiche del processo produttivo.

   Netta è l’impressione che, in queste 70 pagine, il giudice ricerchi  quelle sentenze favorevoli ai padroni (magari estrapolandone “ad hoc” alcuni passaggi), azzerando la validità di alcune indagini (per esempio quelle epidemiologiche o quelle sulle condizioni di lavoro all’interno dell’azienda).
   Infine, il processo civile, vinto dai famigliari di Bonan, non ha alcun peso nella sentenza. E’ palese la contraddizione di un tribunale che, nella sua sezione civile, condanna gli imputati, mentre, in quella penale, li assolve “perché il fatto non sussiste”. Ciò significa che il fatto non c’è. Non ci sono le malattie, non ci sono le morti.

   Le nostre valutazioni, espresse a caldo dopo la sentenza, ricevono ulteriore conferma: non è un problema di leggi e norme (in Italia le leggi sulla sicurezza nel lavoro esistono da 60 anni); in realtà il problema è che i padroni sono al di sopra e al di fuori di qualunque legge.
Per noi, al di là di ogni ragionevole dubbio”, questi lavoratori sono morti a causa delle condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti. Questa sentenza è responsabile di far precipitare il livello di attenzione sulle condizioni del lavoro, che negli ultimi anni, in conseguenza di gravi tragedie, aveva conosciuto alti livelli di sensibilizzazione.
Tutto questo mentre i morti sul lavoro e di lavoro continuano a crescere nel nostro paese!

  Con queste convinzioni la nostra lotta va avanti. Abbiamo presentato alla Procura Generale di Venezia un’istanza affinché venga impugnata  questa sentenza.

Abbiamo convocato per il giorno 30 settembre 2011, a Tezze sul Brenta, sala del Municipio, ore 21, un’assemblea pubblica con i nostri periti ed avvocati, in cui daremo la giusta lettura di questa sentenza e di questa vicenda.
Bassano del Grappa, 14 settembre 2011

Comitato per la Difesa delle Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio di Tezze sul Brenta e Bassano del Grappa

Salute.Tezze@libero.it