venerdì 10 giugno 2011

INFRASTRUTTURE, TRASPORTI E MOBILITA' SOSTENIBILE: LA RICERCA DI UN DIFFICILE EQUILIBRIO

Alcune importanti riflessioni, per provare a dare un contributo ai problemi del traffico che ha anche la nostra regione e il nostro territorio,  verso una mobilità sostenibile.


                                                               Foto del Giornale di Vicenza


La mobilità costituisce una delle più complesse sfide da affrontare - e risolvere - nella ricerca di quegli scenari di sostenibilità dello sviluppo che rappresentano obiettivo strategico prioritario in tutte le politiche europee. Ma proprio per il fatto di essere uno degli elementi maggiormente critici dell’attuale modello di sviluppo il settore dei trasporti richiede - forse più di altri - un consistente e continuativo sforzo di innovazione degli approcci gestionali e progettuali.
L’automobile privata ha costituito - in Italia come nella gran parte delle economie industriali - il «motore» della crescita economica del dopoguerra, diventando rapidamente qualcosa di ben più «ingombrante» (in termini economici e sociologici) di un semplice mezzo di trasporto. I frequenti episodi di inquinamento atmosferico urbano, la congestione, il rumore urbano, sono solamente alcuni fra i «costi esterni» che la continua crescita del traffico determina; la sfida dei prossimi decenni si gioca però sul fronte dell’effetto serra, e della inevitabile transizione dalla monocultura del petrolio ad un sistema a ridotta intensità di energia, consumo di risorse e inquinamento ambientale.
Si tratta dunque di rivedere criticamente molte delle opzioni finora percorse più o meno consapevolmente, costruendo scenari complessi ed articolati, che consentano di ridurre drasticamente l’impatto della mobilità senza penalizzare l’accessibilità.
Non ci sono ricette magiche e soluzioni universalmente valide: l’approccio metodologico alla ricerca di scenari di sostenibilità dello sviluppo (ed a maggior ragione di sostenibilità del settore della mobilità e dei trasporti) consiste nella ricerca di opzioni appropriate per ogni specifica situazione. Opzioni che devono nascere da una adeguata conoscenza delle diverse componenti che caratterizzano la mobilità (domanda, offerta, assetto territoriale, esigenze e bisogni degli utenti, costi, disponibilità finanziarie, ecc.) proponendo soluzioni ad hoc, che massimizzino l’efficienza nell’impiego di infrastrutture esistenti, che consentano di proporre servizi a basso impatto adeguati alle esigenze della domanda, che rendano finalmente centrale, nella politica della mobilità e dei trasporti, il significativo potenziale insito nelle tecnologie di trasmissione ed elaborazione delle informazioni, finora sottovalutate a vantaggio di opere fisiche e soluzioni meccaniche.

La domanda di mobilità in Italia


Domanda mobilità passeggeri in Italia - 1990-2007
La domanda di mobilità delle persone viene convenzionalmente stimata e contabilizzata usando come unità di misura i passeggeri*km (sommatoria di tutti gli spostamenti che avvengono in un determinato ambito territoriale e/o amministrativo in un determinato periodo di tempo). Il rapporto fra Pax*km totali annuali e popolazione residente nell’ambito territoriale indagato esprime la quantità di mobilità pro capite. Dal 1990 ad oggi la domanda stimata di trasporto di persone e merci nel nostro Paese è cresciuta, rispettivamente, del 34% (da circa 728 a circa 976 miliardi di passeggeri*km) a del 27% (da circa 191 a circa 243 miliardi di tonnellate* km).
Se nel 1960 la domanda pro capite di mobilità motorizzata era stimata in complessivi 2.500 km/anno, dei quali solamente la metà soddisfatta da spostamenti su autovettura privata. In termini puramente indicativi, si può dunque affermare che la mobilità motorizzata pro capite nel nostro Paese è aumentata di 6,6 volte nei quasi cinquant’anni intercorsi, mentre la mobilità pro capite su autovetture sarebbe aumentata, nel medesimo periodo, di quasi dieci volte: nel 1990, il cittadino italiano percorreva annualmente una media di 12.800 km su mezzi di trasporto, mentre nel 2007 la domanda pro capite era salita a 16.500 km/anno, di cui il 74% circa su autovettura privata e la restante parte distribuita fra motoveicoli, autobus, ferrovia, aereo, ecc. . Per quanto riguarda i diversi modi di trasporto, il segmento caratterizzato dalla crescita più sostenuta fra 1990 e 2007 è quello del trasporto aereo (i km/anno pro capite relativamente al solo traffico interno sono più che raddoppiati, passando da circa 6.400 ad oltre 15.000), quello meno dinamico è il segmento del trasporto ferroviario (che nel medesimo periodo è cresciuto solamente del 7%). Più o meno stabile tra il 72 e il 75% la percentuale di percorrenze su auto privata rispetto alle percorrenze totali (figure 1,2).
Emissioni CO2
La crescita costante del settore si traduce, ovviamente, in un parallelo incremento delle emissioni inquinanti e dei consumi di energia determinati dalla mobilità, incremento solo parzialmente limitato dal contestuale incremento di efficienza delle tecnologie di trasporto, che si traduce in consumi ed emissioni unitarie decrescenti. Ciò nonostante, come si è detto, consumi ed emissioni aumentano costantemente, soprattutto se le relative tendenze vengono confrontate con quelle di altri macrosettori economici (figura 3).
Nel complesso, le tendenze derivabili dall’analisi dei dati e delle stime disponibili rendono evidente una situazione ancora lontana da un ipotetico scenario di mobilità sostenibile, con tassi di crescita della mobilità e dei suoi impatti tuttora significativi, ed a tratti superiori agli stessi tassi di crescita della ricchezza prodotta (figura 4).
Al di là dei tassi di crescita, che pure caratterizzano significativamente il settore nel suo complesso, è però opportuno analizzare, per quanto possibile in base ai dati effettivamente rilevati e disponibili, come si distribuisce la domanda di mobilità fra i diversi segmenti di percorrenza che caratterizzano gli spostamenti di persone e di merci. Sotto questo profilo, tutti i dati indicano come la domanda di mobilità sia prevalentemente orientata a spostamenti di brevissimo, breve e medio raggio. Secondo il rapporto Audimob di ISFORT 2008, gli spostamenti degli italiani sono per il 31,4% spostamenti di prossimità (ovvero si esauriscono entro 2 km), per il 21,7% di corto raggio (compresi fra 2 e 5 km), per il 20,2% locali (5-10 km), per il 23,4% di media distanza (da 10 a 50 km) e solo per il 3,2% sono spostamenti di lunga percorrenza (oltre 50 km). E, per quanto riguarda la domanda di trasporto ferroviario, risulta che i viaggiatori di media e lunga percorrenza siano numericamente pari al 15% dei viaggiatori del trasporto locale, e che le loro percorrenze medie siano in costante riduzione (-12% tra 2000 e 2007).

L’offerta infrastrutturale

Indicatori dotazione infrastrutturaleIl dibattito sul tema delle infrastrutture, nel nostro come in altri Paesi, si sofferma spesso sulla inderogabilità di una adeguata dotazione infrastrutturale quale condizione necessaria, o addirittura sufficiente, a garantire soddisfacenti tassi di crescita dell’economia. Si tratta di un tema assai esplorato a livello internazionale più che non nazionale, e sul quale le conclusioni sono tutt’altro che coerenti ed univoche. Se, infatti, è ragionevole attendersi che, in condizioni di totale assenza di infrastrutture di trasporto (e di altre infrastrutture), l’utilità marginale di progetti di strade o ferrovie possa essere elevatissima, mutando una condizione di totale inaccessibilità in una condizione di parziale accessibilità, assai più difficile risulta dimostrare che in situazioni già caratterizzate dalla presenza di una rete primaria ed evoluta di infrastrutture di trasporto (quali quelle nei Paesi europei) la realizzazione di nuove, più capienti e veloci infrastrutture possa effettivamente rappresentare un fattore competitivo rilevante nell’ambito della concorrenza commerciale fra aree geografiche.
È anzi probabile che, man mano che la dotazione di infrastrutture di base aumenta, diventino vieppiù importanti, soprattutto in una logica di sostenibilità ambientale ed economico-sociale, le modalità di utilizzazione delle infrastrutture stesse; in altri termini, l’attenzione dovrebbe spostarsi dalla quantità di infrastrutture fisiche alla qualità dei servizi che su di esse vengono offerti. È evidente che non si tratta di due variabili indipendenti, ma l’eccesso di attenzione, e di tensione, che si crea sulla necessità di aumentare sempre e comunque la capacità infrastrutturale, finisce spesso per togliere rilevanza alla programmazione dei servizi di trasporto ed alla costruzione di politiche integrate che costituiscono una delle colonne portanti di uno scenario di sostenibilità dello sviluppo dei sistemi di trasporto. Si vedano nella figura 5 alcuni dati di confronto fra Italia ed Europa: la figura evidenzia la posizione del nostro Paese relativamente ad alcuni indicatori di carattere infrastrutturale ed economico in relazione alla media dei 27 Paesi membri, ed alle due medie distinte relative ai 15 membri dell’Unione prima del 2004 ed ai 12 membri entrati a far parte dell’Unione nel 2004 e 2007. Si noti in particolare la posizione del nostro Paese relativamente alla dotazione infrastrutturale (dove i dati rapportati alla popolazione residente sono inferiori ai dati medi di riferimento, almeno in parte in ragione della elevata densità territoriale) ma anche al tasso annuale di crescita del PIL 2006-2007. Per quanto riguarda, in particolare, quest’ultimo indicatore, si osservi come - abbastanza prevedibilmente - il dato medio relativo ai Paesi di recente adesione, tutti caratterizzati da reddito pro capite e dotazione stradale/ autostradale inferiori alla media, sia in realtà assai più elevato di quello medio europeo.

Strategie per una mobilità sostenibile

Autovetture Circolanti ogni 100 abitanti (2000)La limitatezza delle risorse ambientali, territoriali ed economiche e finanziarie rende improcrastinabile una profonda revisione delle politiche settoriali, che necessitano, in questo settore forse più che in altri, della definizione di strumenti di programmazione che sappiano ottimizzare le (scarse) risorse disponibili nella costruzione di strategie di linee di azione e di interventi efficaci sul lato della domanda di mobilità come su quello dell’offerta di infrastrutture e di servizi di trasporto. Occorre innanzitutto prendere atto della dimensione urbana, metropolitana e regionale della gran parte degli spostamenti di persone, investendo risorse e promuovendo innovazione nella realizzazione di nuove infrastrutture dedicate (metropolitane e linee di trasporto pubblico) e soprattutto nella loro gestione ottimale. È nel confronto con le metropoli europee che più evidente risulta il gap infrastrutturale (ma anche culturale) delle grandi città italiane: reti di trasporto pubblico, infrastrutture dedicate alla mobilità ciclopedonale, politiche innovative di gestione ed orientamento del traffico urbano (road e park pricing, car sharing, low emission zone, ecc.) costituiscono, tuttora, l’anello debole di una politica di settore ancora troppo orientata sul lato dell’offerta di «nuove» infrastrutture prevalentemente concepite a servizio degli spostamenti di lunga o lunghissima percorrenza (autostrade, linee ferroviarie ad alta velocità, hub aeroportuali). Nelle aree urbane più dense è opportuno attivare politiche di disincentivazione dell’uso di mezzi ad elevato impatto ambientale. Tali politiche non devono però tradursi nella semplice incentivazione all’acquisto di autovetture omologate secondo l’ultimo step euro. Occorre individuare più articolati criteri di selezione, che consentano di disincentivare, oltre all’inquinamento, anche il consumo di carburante e l’emissione di CO2.
Occorre puntare a coefficienti di motorizzazione privata (rapporto fra autovetture circolanti ed abitanti) più vicini a quelli - più moderati - che caratterizzano le grandi metropoli a livello internazionale (si veda in proposito il confronto riportato nella figura 6, dalla quale emerge, abbastanza chiara, la particolare situazione delle città italiane di grande, media e piccola dimensione nei confronti delle loro omologhe europee); ciò significa coordinare le politiche di disincentivo dell’uso di mezzi inquinanti con azioni finalizzate a contenere la presenza di auto private nelle aree urbane dense, limitando gli spazi pubblici destinati a stazionamento e/o introducendo politiche di tariffazione della sosta funzionali all’obiettivo.
Occorre inoltre incentivare modelli di utilizzazione dell’autovettura privata che ne massimizzino l’efficienza: il car sharing (uso condiviso di autovetture di proprietà collettiva) e il car pooling (incentivazione all’uso associato di autovetture private negli spostamenti casa lavoro) sono due strumenti ampiamente sperimentati, che vanno sostenuti con adeguate politiche, ad esempio prevedendo alcune facilitazioni nelle aree a traffico limitato.
Parallelamente, sono da avviare politiche di incentivazione all’uso del mezzo pubblico, che attualmente rischia di vedersi confinato, in molte città italiane, al ruolo di «servizio sociale» dedicato a coloro che non possono permettersi l’uso dell’autovettura privata.
Il potenziamento del mezzo pubblico non può passare solamente per una generalizzata richiesta di maggiori fondi, che come noto sono scarsi quando non inesistenti. Occorre dare priorità al trasporto pubblico su diversi fronti, restringendo gli spazi a servizio del trasporto privato e destinandoli al trasporto pubblico, producendo innovazione nella fornitura del servizio, aumentandone il livello di efficienza ed affidabilità (corsie protette e priorità semaforica, ad esempio, possono garantire maggiore velocità commerciale, frequenza regolare ed affidabilità del servizio automobilistico con investimenti relativamente contenuti).
Il disegno dello spazio urbano costituisce il primo fra i fattori di promozione di una mobilità sostenibile: nel breve termine, ricalibrando gli spazi dedicati ad esclusivo uso dell’autovettura a mezzi pubblici e alla mobilità dolce; nel medio e lungo termine, sempre sulla scorta degli esempi che vengono da un numero sempre crescente di città europee, occorre rivedere i criteri di progettazione degli insediamenti residenziali e delle aree di espansione urbana, disegnando quartieri che consentano di minimizzare il ricorso all’autovettura privata (i «quartieri senza auto» costituiscono una realtà ormai affermata in diverse città del Centro e Nord Europa).
Un altro concetto fondamentale nella costruzione di un sistema di mobilità sostenibile è quello di integrazione: integrazione dei servizi, delle reti, delle infrastrutture, dei diversi modi di trasporto. In questo, le enormi capacità di elaborazione dei dati e di trasmissione delle informazioni possono dare un contributo fondamentale (sistemi di infomobilità) soprattutto se coordinate e sincronizzate con le politiche urbane e di settore.
Le politiche di sostenibilità devono ovviamente articolarsi nel tempo in funzione della effettiva possibilità di intervento. Quello che è comunque importante far passare da subito è il «messaggio» della necessità e della urgenza di innovare profondamente il sistema della mobilità, definendo nuove priorità, nuovi modelli comportamentali, nuovi stili di vita.
Mario Zambrini
Direttore Ambiente Italia, Istituto di Ricerche

domenica 5 giugno 2011

IMMAGINI DALLA BICICLETTATA PER DIFENDERE IL PARCO DELLE ROGGE

Alcune immagini della biciclettata/manifestazione per difendere il Parco delle Rogge che si è svolta oggi domenica 5 giugno e del Parco stesso che è minacciato di distruzione da strade e cemento. 



                                         La partenza a Rosà nella piazzetta del Duomo





                                                  L'intervento del sindaco di Villaverla





                          L'area dove hanno progettato di far passare la Bretella Ovest







Coltivazioni di mais nel Parco

sabato 4 giugno 2011

LA ROTATORIA A NORD: UNO SFREGIO PER BASSANO

Comunicato di Italia Nostra contro il progetto di rotatoria a nord, che stravolgerebbe il Belvedere a nord del Generale Giardino. 




“Atterrito dall’idea di non fare abbastanza per la città, l’assessore ai Lavori Pubblici Dario Bernardi riparte con le sue ruspe e le motoseghe per distruggere non solo il verde cittadino ma a stravolgere il Belvedere George Sand a nord del generale Giardino.

- In assenza di un Piano del Traffico che graziosamente verrà chiamato Piano della mobilità sostenibile, dove non si sa se servano queste rotatorie;
- Calcolando i flussi di veicoli in passaggio sempre in eccesso senza le dovute compensazioni che considerino coloro che in città non vogliono entrare e che dovrebbero scegliere ben altri percorsi;
- Con l’obiettivo  palese di riempire di auto e di pulmann il quartiere Margnan dove già la precedente amministrazione aveva  violentato a Parcheggio il terreno medievale delle Annette;
- Annientando in pochi giorni un paesaggio unico in Italia, ricordato nelle foto di migliaia di turisti ammirati e  cantato dalla poetessa George Sand, cui Italia Nostra ha dedicato il Belvedere che si affaccia a Nord;
- Incurante di un dialogo e di proposte alternative che le Associazioni ambientaliste hanno  cercato  di costruire con questa Amministrazione, chiedendo invano anche la costituzione di una Consulta per Verde;
- In aperta contraddizione con i programmi elettorali che promettevano ben altro stile di   negoziazione di scelte importanti da condividere con tutti i cittadini ;
- Contraddicendo la filosofia che ispira il Master Plan, appena presentato, che parla di “verde protagonista” come variabile indipendente di una  città del 2020   a misura di pedoni, mamme, anziani, bambini e ciclisti;
- Immolando sull’altare della propria personale miope visione del mondo cifre importanti del Bilancio comunale quando le scelte in momenti di crisi dovrebbero essere verso ben altre priorità sociali;
- Relegando il verde a spazi marginali o a verde effimero per abbellire come soprammobile per una sola stagione  aree strategiche che avrebbero bisogno di un progetto unitario per l’intera città;
- Ricordando le parole di Ilvo Diamanti : “Le rotatorie. Nate per regolare e fluidificare il traffico, «da qualche tempo si stanno riproducendo dovunque e senza sosta. Senza limiti. Ne sorge una ogni centinaio di metri, nei punti e nei luoghi più impensati», lo abbiamo constatato anche noi chissà quante volte. Già, ma perché tutte queste rotatorie, che cambiano il paesaggio, ridisegnano la geografia quotidiana. Difficile trovare una metafora migliore per rappresentare una società che assiste, senza reagire, alla scomparsa del “suo” territorio e, insieme, delle relazioni fra
persone. Anche perché stanno scomparendo gli spazi per parlare e perfino camminare. Così per comunicare si usano i cellulari».

La sezione cittadina di Italia Nostra è fermamente CONTRARIA ai costosissimi progetti che l’assessore Dario Bernardi darà seguito nei prossimi giorni.
NON SPRECHIAMO DENARO PUBBLICO!

Italia Nostra
Sezione di Bassano del Grappa”

giovedì 26 maggio 2011

ALLARME ESCAVAZIONI NEL TERRITORIO !

Circa un anno fa Italia Nostra aveva lanciato un allarme in merito al problema delle escavazioni che stanno interessando il nostro territorio. Dopo un anno non se ne parla quasi più e intanto queste continuano a renderlo sempre più degradato.  

Le cave stanno cambiando in modo irreversibile alcuni luoghi come la Valbrenta e l'Altopiano di Asiago nel comune di Bassano del Grappa (Frazione Rubbio-Vallarana) e in parti pertinenti ai comuni della Vallata.




ESTRAZIONI IN VALBRENTA
La cava miniera di Costa Alta in Comune di Carpanè risale al 1912 ma il rinnovo per ulteriori 40 anni della concessione alla estrazione è destinata ad ipotecare in maniera ineluttabile il futuro della valle tutta! 
Sicurezza per gli abitanti, qualità dell'aria per micro e macro polveri, rumori, inquinamento da mezzi pesanti non possono trovare ristoro nelle false mitigazioni che le leggi propongono.
La distruzione dei luoghi (compresi siti storici-linea di sbarramento Carpanè-Col Moschin- risalenti alla Prima Guerra Mondiale) non potrà mai trovare un ripristino realistico per la enormità del disastro ambientale.
La valutazione di impatto ambientale non ha tenuto conto dell'aspetto geologico e idrogeologico di una area ad alto rischio nemmeno al riferimento alle copiose sorgenti aperte in diversi fronti dalla miniera, come sostenuto anche dalla Autorità di Bacino.



CAVE DI DETRITO E CONOIDI DELLE VALLI

Da alcuni anni i conoidi di deiezione dei detriti glaciali che hanno ricreato nei secoli un ambiente naturale di pregio-contraddistinto da boschi cedui a coprire le pareti rocciose della Valsugana-sono oggetto di un'attività selvaggia di asportazione dei materiali ghiaiosi.
Sotto le mentite spoglie di operazioni di messa in sicurezza migliaia di metri cubi di volume di materiale dei conoidi dei comuni di Primolano, Cismon Carpanè e Valstagna sono stati comprati dai cavatori.

Il disastro ambientale è sotto gli occhi di tutti!

Viene interrotta la continuità naturale di ambienti floro-faunistici unici; addirittura il Brenta è oggi passato con opere idrauliche precarie e in dispregio a qualsiasi vincolo ambientale, da centinaia di camion che impattano sulla viabilità della Valsugana, mortificando la qualita della vita dei suoi abitanti.

CAVE DI MARMO/PIETRA

Ci sono una serie di devastanti impatti paesaggistici in ambiti di grande interesse ambientale e naturale nell'Altopiano dei Sette Comuni nei territori del comune di Bassano del Grappa (Frazione di Rubbio-Vallarana) e in parti pertinenti ai comuni della vallata.
Sulla valle assistiamo a selvaggi assalti che aprono pericolosi fronti a strapiombo sui declivi al di fuori di ogni controllo delle autorità preposte creando uno scenario di orrendi buchi danteschi.


CAVE DI SABBIA E GHIAIA

Un'altra problematica è quella derivante dalla messa a nudo della falda freatica e della sottrazionedi ampie superfici a destinazione agricola nelle zone di alta pianura alluvionale sotto mentite spoglie di bonifica di terreni dichiarati non particolarmente fertili ai fini agronomici.
Intensa è l'attività estrattiva principalmente di materiali ghiaioso-sabbiosi nel territorio dei comuni di Rossano V., Tezze sul Brenta e in parte Rosà, Cassola, Cartigliano e Romano d'Ezzelino.
Forti dubbi permangono sulle grandi quantità di materiali estratti, sulle modalità di coltivazione delle cave, sui possibili destini a discarica dei siti, sul ripristino dei luoghi sui controlli che le autorità (Comuni, Province e Regione) esercitano a riguardo. Inoltre sono presenti inquinamenti collegati agli elevati flussi di traffico pesante.

Su tutto questo, come anche sottolinea Italia Nostra ci sono i fondati dubbi sulla mancanza di controlli per far rispettare almeno le prescrizioni!

http://www.italianostra.org/wp-content/uploads/cave-italia-nostra_-Bassano-del-Grappa-finale.pdf

domenica 22 maggio 2011

A RISCHIO IL PARCO RURALE DELLE ROGGE


                                Immagine tratta dal Giornale di Vicenza


Il Parco Rurale delle Rogge è un parco rurale di interesse comprensoriale istituito in base alla legge regionale n. 40 del 1984 dai comuni di Bassano del Grappa, Cartigliano e Rosà rispettivamente con delibere di Giunta della Regione Veneto n. 3283 del 15.11.2002, n.801 del 09.04.2002 e  n.1272 del 17.05.2002; delibere che hanno individuato l’area del parco in corrispondenza dell’ambito di valorizzazione ambientale denominato “Civiltà delle Rogge” come perimetrato dalla Provincia su un’area di oltre 250 ha con delibera di Consiglio Provinciale del 12 maggio 1998 n.36/19531.
Questo parco sovracomunale è il portabandiera di una tutela del paesaggio agrario che, nonostante la disponibilità di un efficace strumento legislativo, nella nostra regione  non ha avuto il seguito che tutte le persone di buon senso desiderano. Tant’è che mentre nel Veneto si assiste alla continua devastazione di un paesaggio invidiato e celebrato in tutta Europa e che ha ispirato per secoli artisti e scrittori, la possibile e facile tutela attraverso la facile istituzione dei parchi rurali comprensoriali è stata ampiamente utilizzata in regioni con minori valori paesaggistici dei nostri. Vero che nella sola provincia di Milano, oltre ai parchi comunali, esistono 14 parchi locali sovracomunali già istituiti ed un enorme parco agricolo regionale che complessivamente occupano una superficie oltre 200 volte superiore a quella degli analoghi parchi rurali comprensoriali dell’intero Veneto !!!

Il parco rurale di Bassano Cartigliano e Rosà, dai più chiamato Parco delle Rogge, è caratterizzato da segni di grande rilevanza collettiva: il tracciato del decumano DD XI della via Postumia, detto “Cavinon” (una delle poche strade romane ancora sterrate del Veneto); una chiesetta longobarda dedicata a S.Giorgio; un paleoaveo del fiume Brenta; una rara integrità paesaggistica, memoria del latifondo dei nobili Morosini, non comune nelle fasce periurbane della “città diffusa” (o, meglio, “confusa”) veneta, una zona fortemente caratterizzata da antiche rogge che portavano acqua del Brenta ed energia alle grandi proprietà patrizie, a ville, opifici (ad es. la roggia Rosà costruita sotto i Carrara a partire dal 1365; la Dolfina, o “Roston”, scavata nel 1603; la Bernarda, documentata già nel 1466 che alimentava opifici dei Morosini; la Morosina, anteriore alla Dolfina, che adacquava le terre dei Morosini anche nell’area del parco ed alimentava le rogge Cartigliana, Comunella, Cappella, Morosina Piccola, e Munara, ecc)
L’area del parco, inoltre, insiste su uno dei corpi idrici sotterranei indifferenziati più estesi e preziosi d’Europa ed è insieme caratterizzata da una elevata permeabilità del suolo che facilita l’indispensabile ricarica delle falde ma che impone una particolare attenzione alla pratiche agronomiche per non inquinare le acque potabili sotterranee.
Purtroppo tragici ed estesissimi sono stati in questi anni gli avvelenamenti delle falde provocati nelle nostre terre dalla incuria delle persone, amministratori, imprenditori e cittadini che per risparmiare sui rifiuti hanno versato e continuano a versare nei pozzi e sui terreni sostanze mortali. Inquinamenti ampiamente documentati dal CNR (1988, 1999, 2000) e, talvolta, dalla magistratura ed ora in procinto di una nuova mappatura.
Per frenare questa corsa dei veneti all’autodistruzione, che è senza freno ormai da 50 anni, è indispensabile rieducare al fondamentale rispetto dei beni culturali e paesaggistici ma anche al perduto rispetto per il “creato”, per i beni collettivi, la terra e le acque, rispetto religioso che era base della cultura materiale sulla quale i veneti hanno costruito la propria identità. Educazione al rispetto per il creato trova nel parco rurale una grande opportunità .

Né va dimenticato, in un periodo di preoccupazione per le risorse finanziarie, che aree come la “Civiltà delle rogge” sono privilegiate nell’assegnazione dei finanziamenti regionali ed europei per lo sviluppo rurale sostenibile previsti per i parchi e per le aree appartenenti al “Bacino Scolante” nella Laguna di Venezia, all’ ”Area di Ricarica delle risorgive dei principali corsi d’acqua settentrionali del bacino scolante” ed alla “Fascia di ricarica degli acquiferi” classificata tra le “aree sensibili” di cui all’allegato D della LR 10/99. Finanziamenti per i quali l’associazione lavora da anni all’interno del partenariato Terre del Brenta, del quale è stata socio fondatore assieme ai comuni di Bassano e Cartigliano.

Sfortunatamente, in quanto zona di ricarica delle falde, le terre del Parco delle Rogge sono anche un ottimo investimento per chi, abituato ai facili guadagni, sa come ottenere dalle pubbliche amministrazioni le lucrose autorizzazioni a cavar ghaia in profondità.
Le conseguenze per il Parco delle Rogge sono evidenti:

o        Alla fine degli anni ’80 su queste terre si focalizza l’attenzione di un pool di aziende venete tra le più grandi nel settore della escavazione, del calcestruzzo, della realizzazione di strade e di grandi interventi urbanistici ed edilizi, alcune delle quali ben note alla magistratura per fatti di corruzione e per reati ambientali e oggetto di provvedimenti per violazione delle norme sulla concorrenza. Nel 1988 queste aziende costituiscono la ditta Rosa srl. che acquista da un allevatore (il quale già aveva presentato una domanda di cava) un’area di circa 500000mq, ufficialmente per uso agricolo. E nel 1994 la ditta Rosa chiede alla Regione autorizzazione alla “Cava Nuova” e nel 1995 alla “Cava Nuova 2”.

o        Sollecitate da un comitato locale, le amministrazioni comunali di allora si attivano per la tutela attraverso opportune varianti agli strumenti urbanistici e la provincia, nell’adottare il primo Piano Territoriale provinciale , decide di classificare la “Civiltà delle Rogge” tra gli Ambiti di Interesse Naturalistico e Paesaggistico” come”Ambito di valorizzazione ambientale di competenza degli enti locali n.6” che viene inequivocabilmente individuato nella “carta dei Beni naturalistici e storico culturali” (tav.4 ). E con il PTP la Provincia fa obbligo ai Comuni di Bassano Cartigliano e Rosà di “ricercare soluzioni volte alla tutela e conservazione dell’ambiente e dei manufatti di interesse storico ambientale presenti, adottando strumenti operativi di riqualificazione ambientale” e di “predisporre gli opportuni piani attuativi a valenza paesistica… d’intesa e in collaborazione con la Provincia”. 

o        Inizia così l’iter che, di concerto con la Regione, porta nel 2002 alla istituzione nell’area della Civiltà delle Rogge di quello che è forse il primo ed unico parco rurale comprensoriale del Veneto ai sensi della LR 40/1984.
Da un lato le delibere di giunta regionale individuano l’area a parco e la tutelano con specifiche misure di salvaguardia, tra le quali l’esplicito “divieto di apertura di nuove strade ad eccezione di quelle al servizio dell’attività agro-silvo-pastorale” e la precisazione che la viabilità “dovrà essere finalizzata esclusivamente alla fruizione dell’area”.
Dall’altro la legge regionale obbliga i comuni di Bassano, Cartigliano e Rosà a convocare una conferenza di servizi per individuare un “ente gestore” al quale solo spetta il compito di adottare un Piano Ambientale per l’intero parco, unico e condiviso, ed il relativo programma di attuazione indispensabili per definire e regolamentare gli interventi conservativi e di riqualificazione dell’area a parco. Piano che, in quanto tale, deve essere elaborato con la partecipazione delle parti interessate (ad es. gli agricoltori e le associazioni ambientaliste).

         Dopo la istituzione del Parco delle Rogge la Regione non poteva che negare alla ditta Rosa il permesso a cavare, e i cavatori ovviamente hanno reagito.
Quello che è accaduto è tanto significativo quanto allarmante.
Non solo le nuove amministrazioni non hanno finora convocato l’obbligatoria conferenza di servizi e non si è potuto predisporre il piano ambientale unico (né il relativo programma di attuazione), ma purtroppo Rosà ha attuato una strategia di progressiva demolizione del parco.
In particolare:

-                                            Il 16 luglio 2002 con la adozione di uno “Studio sul traffico urbano di Rosà” ‘amministrazione guidata dalla sindaca Lanzarin ha previsto illegittimamente (in quanto di competenza della Regione) una nuova strada extraurbana, chiamata “Bretella Ovest. Strada da realizzare in una profonda trincea, guarda caso attraverso il parco, proprio là dove è vietata l’apertura di nuove strade. Con la stessa delibera di giunta, Rosà decide anche di togliere, in modo altrettanto illegittimo, il già esistente sedime di una “bretella Est”, cioè di quel vitale collegamento tra la nuova Gasparona il Castellanese e il Padovano che  è previsto da sempre sia dalla Regione (che lo identifica come “nuova ss 245 Castellana”) che dalle precedenti amministrazioni di Rosà. E la sindaco falsamente scrive che “… i tracciati attualmente inseriti nel nuovo PRG del Comune di Rosà non hanno però riscontri nella pianificazione Regionale e Provinciale”. Vero è invece che il vigente PTRC Veneto ancora oggi considera la nuova Castellana come Direttrice mediana di grande importanza per il collegamento nord-sud” inclusa per di più tra  gli obiettivi generali della mobilità di livello interregionale”. In particolare il PTRC afferma che la Trento-Venezia è “servita dalla superstrada 47 "Valsugana" e dalla SS 245 Castellana per la quale è prevista la realizzazione di un nuovo tracciato di caratteristiche autostradali, analoghe a quelle della tratta Trento-Bassano, per il tronco Venezia-Castelfranco-Bassano…”. Ed inoltre “La Valsugana è collegata a Padova tramite il tronco terminale Bassano-Padova, oggetto di interventi di miglioria ed attraverso l'itinerario Bassano-Castelfranco-Resana-Padova (SS 307 "del Santo") classificato "di grande comunicazione" (D.M. 2474/'83), in connessione con la trasversale primaria est-ovest (autostrada A4), con l'autostrada Padova - Bologna (A13) e la SS 16 per Rovigo.”.

-                                            Il 27 gen 2003 l’amministrazione ribadisce la volontà di attraversare il parco con una “bretella ovest” giustificandola ora come “tracciato di collegamento tra le zone artigianali di Rosà e Tezze con la Pedemontana”.

-                                            Il 26 giu 2003 con DCC n.47 l’amministrazione di Rosà, con una variante parziale al P.R.G. (nr. 1/2003), riconferma la decisione, sempre illegittima, di passare attraverso il parco con una strada di grande traffico. Ed afferma: “Questo nuovo asse viario… nasce dalla volontà e dagli accordi intercorsi con le Amministrazioni Comunali dei Comuni confinanti, di creare un tracciato di collegamento tra l’Autostrada Pedemontana Veneta e la ss 53 in località Fontaniva”. Gli accordi sono falsi mentre vera ed esplicita è la contrarietà del comune di Fontaniva prima, poi di Cartigliano e, più recentemente, di Tezze.

-                                            Il 12 sett 2003 con prot. 13248 il Comune di Rosà acquisisce una “relazione illustrativa” sulla “zona agricola speciale a parco” a firma del dirigente del proprio UT.
La Relazione contiene affermazioni finalizzate più ad indebolire che a sostenere il valore culturale, paesaggistico ed ambientale del Parco, valore del quale non si fa cenno.
La superficie interessata dal Parco è macroscopicamente sbagliata: 830.900 mq in Comune di Rosà e 130.350 mq in Comune di Bassano del Grappa mentre risulta essere di 2800000 mq complessivi (1740000 mq in Comune di Rosà, 510000 mq in Comune di Bassano, e 550000 in Comune di Cartigliano: Tav. n 4 del PTP 1998, “Carta dei Beni naturalistici e storico colturali”).
La relazione afferma inoltre che “l’ambito d’intervento, ricade in un contesto fortemente antropizzato, sia sotto il punto di vista insediativo residenziale, che produttivo”, che “quest’area  nel tempo non è riuscita ad emergere nel contesto agricolo tanto che alcune zone risultano all’oggi incolte…. Passando tra le carrarecce di servizio dei vari fondi, cade subito all’occhio dell’osservatore la mancanza di quegli elementi di pregio tipici di un paesaggio rurale…. Elementi come filari alberati, piantate e siepi campestri caratteri fondamentali e tipici della campagna veneta, sono infatti, quasi del tutto scomparsi... In questo contesto, non bisogna dimenticare la prossimità della zona produttiva di Bassano del Grappa, che…negli ultimi anni si sta imponendo con fermezza e decisione; a questo si deve poi sommare la presenza della discarica RSU e del Megadigestore, da poco collaudato”. “Altri elementi detrattori del paesaggio sono: - La presenza di alcuni elettrodotti che attraversano integralmente l’area.; l’attraversamento trasversale dell’area di due metanodotti della SNAM” e inoltre “molte rogge, anche di rilevante importanza, hanno riscontrato poca manutenzione, dall’analisi sul campo si sono evidenziati molti corpi estranei ed a volte situazioni critiche anche in sede di contenimento delle acque…Come già evidenziato l’area ha perso molti dei caratteri tipici del paesaggio rurale; i pochi filari alberati, sono stati comunque compromessi dall’incuria dell’uomo” (!!!). E ancora “Il problema maggiore a livello ambientale è identificabile nella presenza della discarica e del “Megadigestore”. Questi infatti oltre ad alterare sensibilmente l’equilibrio ecologico della zona, si pongono come veri e propri elementi detrattori del paesaggio. Per quanto riguarda il sistema antropico diverse sono le problematiche che emergono e diverso è il loro grado d’importanza: urbanizzazione diffusa, in molti casi male articolata e con gravi disomogeneità del tessuto insediativi; presenza indiscriminata di attività industriali; la diffusione della piccola impresa si pone come elemento di disturbo all’interno dei processi evolutivi residenziali (?????); numerosi sono gli ambiti considerati a rischio quando si parla di inquinamento elettromagnetico o più volgarmente di elettrosmog. L’”Area Parco” è attraversata da due elettrodotti che “pongono un taglio netto ed indiscriminato” dell’area in oggetto (!!!!!)”

-                                            Il 30 set 2004 con DGC n.230 l’Amm.ne di Rosà approva la “Presa d’Atto e la Pubblicazione dello Studio Analitico-Interpretativo…”. In un volume di 212 pagine, che ha funzione di documento preliminare al “piano di assetto del territorio”, l’amministrazione descrive arbitrariamente ed in dettaglio l’attraversamento del parco con una strada di interesse regionale, non prevista dalla regione, ma che anzi la regione da decenni ha programmato ad est.
In realtà la strada (che è vietata dalla Regione, che secondo il Comune dovrebbe essere regionale ma che la Regione non ha mai programmato né tantomeno progettato) ha obiettivi devastanti: la proposta prevede infatti che sia realizzata non solo attraverso il parco ma in una enorme trincea e che l’escavazione tutt’attorno continui su ben 566000 mq mascherata da “superficie destinata a grandi attrezzature ricreative” che ha la forma di un campo da golf sul fondo di una cava  (una cava da golf): un campo da golf strategicamente destinato al fallimento e perciò funzionale a successive nuove escavazioni (di norma, nel rispetto dell’ambiente, si continua a scavare dove già si è scavato). Come non bastasse, ai fini di una sedicente “riqualificazione ambientale” il documento del Comune prevede nella proprietà dei cavatori anche una “area di trattamento inerti” guarda caso sul fondo di una cava di 85000 mq (a norma sono definiti “inerti” tutti i rifiuti non umidi, né riciclabili o combustibili, prodotti ad es. dal confinante impianto dell’ETRA spa). Non mancano “spazi attrezzati per il tempo libero“ su 95000 mq, “spazi verdi di compensazione delle infrastrutture”su 133000 mq, zona di consolidamento del bordo urbano e di servizio alle aree ricreative” su 39000 mq,  e “zone di compensazione per servizi” su 70000 mq zone e spazi dove asportare altra ghiaia e, al fondo delle cave, far crescere una nuova geniale specie vegetale: il “boscato di escavazione” (sic). Un giochino da 150 milioni di € di utile, o giù di lì, in perfetta sintonia con i progetti di cava bocciati dalla Regione alla ditta Rosa srl che, guarda caso, niente ha da eccepire sul documento presentato dalla sindaca Lanzarin.

-   Il 24 gen 2005 con DGC n.19 l’Amm.ne di Rosà adotta del tutto arbitrariamente un proprio “Piano Ambientale della zona agricola speciale a parco a ovest di Travettore” piano che spetterebbe invece all’ente gestore intercomunale, peraltro non ancora individuato dai tre comuni interessati. Preso atto del divieto di apertura di nuove strade posto dalla Regione, negli elaborati grafici del Comune non appare il tracciato della “bretella Ovest”, che tuttavia risulta ampiamente prevista nella relazione illustrativa e nelle norme attuative. Appare invece un reticolo di strade tale da stravolgere la funzione agricola dei terreni della ditta Rosa srl (che nel frattempo ha acquisito il controllo su circa 750000mq di parco).

-   A questo punto la ditta Rosa si trova nella condizione, da tempo attesa, di poter contestare legittimamente l’istituzione del parco rurale ricorrendo al Tribunale Amministrativo regionale con la forte speranza di vincere e di riproporre quindi le domande di cava.
I cavatori sono così sicuri di vincere che, nel ricorrere al TAR di Venezia contro il Piano Ambientale del comune di Rosà, non solo lamentano ovviamente lo stravolgimento della funzione agricola e contestano l’istituzione del parco a solo scopo ostativo, ma chiedono anche la riunione di precedenti ricorsi della ditta rosa srl contro la bocciatura delle domande di cava conseguenti alla istituzione del parco, sicuri di poterle riproporre.
Per fortuna i cittadini non tacciono: il comitato per la salvaguardia di Travettore assieme ad un gruppo di volontari bassanesi si costituisce nella associazione Parco Rurale delle Rogge, onlus. L’associazione, che ha titolo per ricorrere, si affianca ai cavatori nella causa amministrativa contro il comune di Rosà con l’obiettivo, opposto a quello dei cavatori, di difendere la legittimità del parco rurale proponendo a sostegno una circostanziata relazione peritale.
Sentita l’associazione ed alcuni privati (egregiamente difesi dall’avv. Ceruti di Rovigo), il 9 marzo 2006 i giudici del TAR sentenziano quindi la legittimità del parco in modo del tutto opposto alle attese dei cavatori e della amministrazione di Rosà (dispositivo nr. 863/2006).
La sentenza del TAR da un lato rileva “come la realizzazione del reticolo di strade prevista dal piano ambientale comporti lo stravolgimento della funzione agricola del fondo e della sua capacità produttiva” (ed anche per questo il comune di Rosà perde la causa, diversamente da quanto sostenuto dagli amministratori), dall’altro respinge tutti gli altri ricorsi dei cavatori, confermando il diniego alla attività di cava.
Di particolare interesse sono alcune massime della sentenza ed in particolare il fatto che, contrariamente a quanto sosteneva la attuale amministrazione di Rosà:
Ø       l’area del parco (cioè l’ambito di tutela perimetrato dalla Provincia con il nome di Civiltà delle Rogge) è stata individuata, per le peculiarità che la contraddistingue, come parco di interesse locale ai sensi dell’art. 27 della LR n. 40/84;
Ø       nell’istituire nel proprio territorio un parco di interesse locale non vi è alcuna necessità di trovare supporto giustificativo nel PTRC;
Ø       l’istituzione del parco rurale trova idonea giustificazione nell’affermata necessità di salvaguardare l’area per la sua valenza ambientale (paesaggio agrario), naturale (il vecchio percorso del fiume Brenta) e storico culturale (l’elemento di centuriazione romana presente lungo il “cavinon”);
Ø       la variante al PRG (oggi PAT) costituisce lo strumento normale per l’istituzione di un parco di interesse locale;
Ø       le prescrizioni normative che vietano l’apertura di nuove cave, introdotte con la definitiva approvazione, da parte della Regione, della zona agricola speciale a parco, costituiscono ineludibile ragione ostativa all’esercizio dell’attività estrattiva;
Ø       la tutela del paesaggio, costituendo un valore primario dell’ordinamento ai sensi dell’art. 9 Cost., rappresenta un interesse prevalente su qualunque altro interesse (pubblico e privato) e, quindi, deve essere sempre anteposto all’attuazione delle esigenze urbanistico-edilizie (CdS, IV, 3.5.2005 n. 2079);
Ø       il Comune non può imporre ai privati uno specifico obbligo di attivarsi per conferire all’area prescelta una particolare fisionomia, ma soltanto un onere di non facere, affinchè vengano mantenute inalterate le caratteristiche e le peculiarità proprie della zona che hanno consentito di qualificarla di particolare pregio. Per quanto attiene al parco rurale, “gli interventi conservativi, riqualificativi, di recupero e di miglioramento” sono effettuati a cura dell’ente gestore, mentre ai privati possono essere imposti solo vincoli e limiti, con la regolamentazione delle attività consentite.

-   Paradossalmente i cavatori sono costretti ad appellarsi al Consiglio di Stato contro la sentenza del TAR che ha dato loro ragione e gli amministratori di Rosà, vista la malparata,  sono costretti a controricorrere per chiedere che venga confermata la sentenza a loro avversa.

-   Con sentenza n. 659/2009 il CdS conferma la decisione del TAR Veneto n. 863/2006, e respinge il ricorso in appello della ditta Rosa srl.
In particolare il CDS ribadisce sia la legittimità del parco rurale sia l’efficacia della LR 40/1984 affermando che “non vi è dubbio che, nelle funzioni di conservazione e valorizzazione dell’ambiente naturale espressamente contemplate tra le finalità della legge 40/84 (articolo 1), rientri anche la sistemazione a parco di una ampia area agricola che, pur mantenendo la sua vocazione principale, sia attrezzata in modo da consentire alle popolazioni locali insediate nel territorio di fruire anche dei valori ambientali e paesaggistici espressi da tale area” e che a tale scopo “non ha alcun rilievo l’argomento… incentrato sulla mancanza nell’area considerata di un particolare pregio ambientale ed, anzi, della condizione in parte degradata dovuta a pregresse utilizzazioni edilizie o ad attività industriali in atto in zone limitrofe o confinanti con il parco. E’ evidente, infatti, che  in un territorio fortemente antropizzato, interessato anche dalla realizzazione di una infrastruttura viaria importante (la c.d. Pedemontana Veneta, strada di grande comunicazione) possano sussistere  problemi per il più equilibrato inserimento di un parco, ma ciò non significa che si debba tralasciare ogni forma di intervento di preservazione delle residue aree di interesse naturalistico e paesaggistico. Proprio in questi casi semmai, un intervento di conservazione e riqualificazione dei valori ambientali è più utile se non necessario. La legge 40/84 ha tenuto ben presenti questi aspetti prevedendo che per  ciascun parco sia approvato da parte dell’Ente gestore un Piano ambientale che deve contenere “gli interventi conservativi, riqualificativi, di recupero e di miglioramento” (articolo 9, secondo comma, lettera b)”
Il CdS entra anche nel merito del parco confermando che La presenza delle rogge, di elementi della centuriazione romana e la volontà di preservare la vocazione agricola delle aree in un insieme equilibrato, e fruibile da parte dei cittadini, costituiscono elementi più che sufficienti per giustificare la previsione del parco rurale di interesse locale oggetto della previsione della variante qui in esame. E’ utile puntualizzare che l’area qui in considerazione, come risulta con evidenza dal parere reso dal Comune appellato in ordine al diniego regionale di coltivazione della “Cava Nuova 2”  (deliberazione di Giunta Regionale n. 706 del 23 marzo 2001, preambolo, pagina 2): a)  è “zona di ricarica delle risorgive e ad altissima vulnerabilità considerato che tale fascia pedemontana veneta alimenta una delle falde acquifere più grandi di Europa (vedasi parere della ULSS n. 5 del 28 dicembre 1987 prot.n30167)”; b) è, in parte consistente, vincolata ai sensi della legge 6 agosto 1985 n. 431 per una fascia di 150 metri dalla Roggia Dolfina che verrebbe investita dalla coltivazione e che “è da considerarsi la più rilevante ed importante del comprensorio bassanese”; c) mantiene evidenti segni della centuriazione romana ed, in particolare, “ il “ cavinon “ , ora strada tre ponti – via del Rosario, è sovrapponibile perfettamente all’originario impianto di un decumano intermedio” è riportato nelle tavole preliminari del Piano Territoriale Regionale di Coordinamento ed è ancora oggetto di studio ed approfondimento; d) è interessata dal paloalveo del Brenta ed è, perciò, sottoposta ad una particolare disciplina di PRG. Questi elementi giustificano a sufficienza la istituzione del Parco

-   Con la sentenza d’appello il Consiglio di Stato definitivamente conferma la validità della LR 40/1984 (in particolare dell’art. 27) come mezzo per porre in tutela -con una semplice variante agli strumenti urbanistici- qualsiasi area comunale ritenuta di pregio, anche se compromessa. Ed è ribadito con forza il principio che “la tutela del paesaggio rappresenta un interesse prevalente su qualunque altro interesse (pubblico e privato) e, quindi, deve essere sempre anteposto all’attuazione delle esigenze urbanistico-edilizie”.

Questo il resoconto.
Dobbiamo ora chiederci perché, in una regione come il Veneto, queste norme tanto efficaci non siano quasi mai utilizzate e si preferisca consentire l’esproprio di risorse collettive vitali per il territorio a favore di pochi speculatori.
La legge che dà ai Comuni la possibilità di tutelare il territorio ha 26 anni: il tempo di una generazione di amministratori locali che, anziché applicarla, hanno preferito il sistematico impoverimento, nel nome di un falso benessere economico, non solo della qualità della vita di tutti ma anche della preziosa risorsa turistica costituita, come ben insegnano altre nazioni, dal paesaggi rurale. E purtroppo è così radicato il malcostume che anche il parco rurale, nonostante le sentenze lo indichino come una delle poche nostre aree pienamente tutelate, ancora è oggetto di cinici attacchi.
Non potendo più contare sulla rimozione dei vincoli per via amministrativa, né sull’articolo 13 della LR.15 (che Galan ha firmato il 9 agosto 2002 per aprire a sorpresa cave di prestito anche nel parco rurale), il potere locale tenta ora la strada della distruzione fisica contando sul superpotere del “Commissario delegato per l’emergenza determinatasi nel settore del traffico e della mobilità territoriale nel territorio delle province di Treviso e Vicenza”.
E’ di questi mesi infatti l’ipotesi, inaspettatamente formulata in sede di progetto definitivo della Superstrada Pedemontana Veneta (SPV), di realizzare tra la roggia Rosa e la roggia Dolfina uno svincolo non previsto nel progetto preliminare, con un casello a pedaggiamento manuale (su tutta la Pedemontana era previsto il pedaggiamento automatico) , ampie aree di pertinenza, una vasta area di assistenza utenti, una rotatoria, due strade di adduzione al casello da est e da ovest, una imprecisata strada di adduzione da sud che stranamente coincide con l’inizio della bretella ovest. Tutto questo in totale difformità con lo Studio di Impatto Ambientale e, guarda caso, proprio all’interno del Parco delle Rogge dove vige il divieto di apertura di nuove strade.
Questa ipotesi di casello nel parco è illegittima, e il Commissario lo sa, perché vìola palesemente non solo la LR 40/1984, la DGR 3284/2002, le sentenze n. 863/2006 del TAR e n. 659/2009 del CdS, ma anche la L. 448/1998, la decisione della conferenza dei sindaci a Castelfranco il 30 marzo 2001, la delibera CIPE n. 96 del 29 marzo 2006, ecc ecc.
 

giovedì 19 maggio 2011

DUE IMPORTANTI INIZIATIVE A DIFESA DEL TERRITORIO

Due importanti iniziative per protestare contro l'invasione di opere, che distruggeranno il nostro territorio e renderanno più difficile la nostra vivibilità.
Per la difesa del territorio, dell'agricoltura di qualità, dei beni comuni.
La prima iniziativa, manifestazione sabato 28 maggio 2011 alle ore 15,30 a Breganze, contro l'inizio dei lavori dell'Autostrada Pedemontana Veneta.

La seconda iniziativa, domenica 5 giugno 2011 con ritrovo alle 9,15 a Rosà in piazza del Duomo, biciclettata per difendere il Parco Rurale delle Rogge contro i progetti di devastazione.





Mobilitarsi per il nostro territorio e per la nostra salute è quantomai necessario.

martedì 3 maggio 2011

MUFLONE FERITO DIFESO DAI COLTELLI DI CACCIATORI E POLIZIA PROVINCIALE.




Quanto è accaduto alla sig. Giorgia Marangoni lascia increduli sgomenti e perplessi,  ecco la sua testimonianza: In data 25 aprile, mentre scendevo dall’Altopiano di Asiago, in località Ciscati (Comune di Conco) rinvenivo sul ciglio della strada un piccolo di muflone ferito, probabilmente investito da un’auto. Mi fermavo con l’auto a lato della strada e provvedevo a telefonare immediatamente al 115 segnalando il fatto. L’operatore mi rispose che avrebbe immediatamente avvisato la Polizia Provinciale, organo competente per territorio.

Dopo più di un’ora dalla mia telefonata, venivo contattata al cellulare da un agente di polizia provinciale che si qualificava chiedendomi dettagli sul fatto e luogo.
Dopo averlo sollecitato, data la contingenza della situazione, spiegavo di aver rinvenuto il piccolo di muflone ferito e di aver già fermato un signore che si era presentato con un coltello per sgozzare l’animale, chiarendogli che il piccolo sembrava ferito in modo non grave, tanto che si era alzato in piedi ed era riuscito ad attraversare la strada.
L’agente mi diceva telefonicamente, testuali parole, “Cosa pensa che possa fare io?
Non esistono veterinari né centri per il recupero della fauna selvatica, gli animali vengono abbattuti.
E poi, lo paga lei il veterinario?”.

Io, allibita nel sentire tali parole e comunque impossibilitata a fare in quel momento le opportune verifiche sulla veridicità delle affermazioni dell’agente, chiedevo: “Ma cosa sta dicendo? Come puo’ dire che non vi sono centri di riferimento al quale Lei, quale organo competente, può affidare l’animale per le cure del caso?”.
Risponde: “Probabilmente lei signora ha visto molti film”, comunque arriverò tra circa un’ora perché c’è traffico.
A tale affermazione replicavo: “Quindi lei non puo’ fare nulla se non abbattere l’animale? Io non posso credere che non ci sia un veterinario reperibile”.
Risponde: “Allora veda lei cosa fare, io non posso fare altro e le ripeto che per questi animali non esistono veterinari”.
Io, ancora più sconcertata ed impossibilitata a caricare l’animale in auto, (avevo mia figlia di 23 mesi con me!) riferivo che l’avrei comunque atteso sul posto.
Dopo circa 30 minuti, si presenta sul posto un tale, che lasciando il suo nominativo dice di essere Presidente dei Cacciatori e guardando l’animale, dice: “Non serve chiamare la Polizia Provinciale”, mi arrangio io, l’animale ha osso del collo rotto”. Io ribattevo: “Ma è un medico veterinario?”.

Di lì a poco arrivava l’agente, parla a bassa voce con il presidente dei cacciatori, e dice:”Andate pure tutti via, ci arrangiamo noi”, facendo intendere che avrebbero provveduto ad abbattere l’animale sul posto.

Dopo due ore la polizia provinciale ha riferito che il muflone era morto: ma in che modo?

Renzo Rizzi del C.P.V. ha aggiunto: Il comportamento dell’agente se confermato anche  l’abbattimento del piccolo di muflone risulta inqualificabile, non rispettando ne il prossimo ne il protocollo ne il buon senso, una segnalazione su questo fatto è stata avviata alla procura della repubblica e al corpo forestale dello stato.
Al comandante Claudio Meggiolaro chiedo: comandante, sono queste le disposizioni impartite ai suoi uomini? Se non sono queste, come io immagino, che misure prenderà rispetto ai fatti ? Per ultimo, Il piccolo di muflone è stato scannato sul posto senza l’intervento del veterinario?